Ezio Mauro nel suo La dannazione: 1921. La sinistra divisa all’alba del fascismo, ci porta indietro di un secolo, in quei caldi giorni di metà gennaio 1921 quando a Livorno, città rossa per antonomasia, maturò una delle scissioni politiche più celebri di sempre, quella che portò alla nascita del Pci.
Raccontare le vicende storiche che esattamente cento anni fa determinarono la nascita del Partito comunista italiano, denominazione che in realtà assunse solo in seguito (in origine fu chiamato Partito comunista d’Italia) è un’impresa non semplice vista la rilevanza dell’avvenimento. Un argomento più volte trattato, analizzando aspetti ogni volta differenti, in base, anche, al momento storico in cui i vari saggisti hanno scritto.
A questa teoria di narratori di un evento, comunque la si pensi, epocale della storia italiana e non solo, si aggiunge Ezio Mauro, uno dei maggiori giornalisti italiani, direttore di testate quali “La Stampa” e “Repubblica”, penna raffinata capace già di descrivere con L’anno del ferro e del fuoco l’epopea della Rivoluzione Russa.
Mauro in quello che è una via di mezzo fra un reportage e un saggio, descrive la storia di quella scissione che maturò a Livorno, il 21 gennaio del 1921, un evento che darà vita a un nuovo partito, che tanto peserà nella storia d’Italia e lasciando, al contempo, sulla scena un altro partito, quello socialista, già oggetto di dolorose separazioni, amputato della sua parte più di sinistra, quella decisamente più rivoluzionaria.
Il racconto di Ezio Mauro parte proprio da quella Livorno «in cui si mescolano anarchismo, umanitarismo socialista, ribellismo e pacifismo», sede congressuale scelta dopo un avvincente ballottaggio con altre due città toscane: Firenze e Viareggio.
Una narrazione che occupa lo spazio di quell’evento, di quella scissione e al tempo stesso di quella nascita, eventi che si manifestano «ai margini del fascismo incombente» quando la sinistra intera, non da sola in verità, in quella generale miopia politica, non si rese conto del precipizio in cui l’Italia stava inesorabilmente cadendo, una nazione uscita devastata da una guerra che aveva formalmente vinto ma che aveva lasciato sul campo morti e feriti e insanabili divisioni.
Una cecità che Ezio Mauro sottolinea bene nel bel sottotitolo del suo bel libro edito da Feltrinelli, la sinistra divisa all’alba del fascismo perché, pur non esistendo la controprova, è probabile che la scissione che matura a Livorno in quei primi giorni del nuovo anno, abbia favorito la successiva ascesa del movimento fascista che delle indecisioni dei partiti, dell’immobilismo parlamentare, delle semplicistiche analisi politiche si alimenterà voracemente, traendone inevitabile forza.
Un racconto dettagliato e avvincente, che Ezio Mauro, inviato della storia, ci fa rivivere totalmente.
E allora siamo lì nelle ore che precedono l’apertura del congresso, fra la gente comune che guarda con curiosità ma anche con un pizzico di apprensione a quell’evento politico che calamita l’attenzione non solo di moltissimi giornalisti, ma anche delle forze dell’ordine che, temendo scontri, scrutano ogni passo dei prossimi protagonisti di un qualcosa che si tinge già di storia.
Protagonisti come Christo Stefanov Kabakčiev, rappresentate del Comintern ma, soprattutto, sodale di Lenin, di cui a Livorno è la sua voce, il suo braccio, il suo occhio.
Kabakčiev incarna l’ortodossia sovietica, il diktat scandito da Mosca a cui i compagni socialisti devono assoggettarsi pena l’esclusione dalla III Internazionale.
Ma Mauro ci fa udire anche i battaglieri discorsi di Serrati, di Baratono, di Lazzari che provano, a stento, a tenere insieme una barca che affonda, cercando di salvare l’unità del partito pur non pregiudicando l’alleanza con Mosca.
Nelle pagine del libro riecheggia con forza anche la voce di Filippo Turati, icona vivente del socialismo italiano e non solo che nel Teatro Goldoni percepisce il suo personale capolinea politico. Ma quell’uomo che ha vinto numerose battaglie e forse mai una vera guerra non vuole abdicare ai suoi ideali, a un ruolo che lo ha sempre visto, fin dal lontano 1892, protagonista dell’avventura socialista. Un Turati che chiude il suo discorso ribadendo la futilità di concetti quali maggioranza o minoranza, rimarcando, al contrario, la centralità del socialismo, vero bene supremo a cui dedicare ogni anelito di forza.
Ma attraverso le parole di Ezio Mauro rimbombano anche le voci dei nuovi protagonisti, dei comunisti Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, soprattutto di Antonio Gramsci, che pur non parlando a Livorno, è di quel nuovo corso il padre putativo.
Voci vibranti, discorsi accalorati, preludi a una scissione imminente.
Ezio Mauro, però, non scrive solo la cronaca di quei giorni ma racconta anche i prodromi di quella rivoluzione sfiorata che fu il Bienno rosso, un fatto che «allarma i borghesi mentre delude gli operai, rovescia i rapporti di forza, e vede arenarsi la legge sul controllo operaio che finisce in nulla, soffocata dal nuovo clima sociale.»
Bellissime, poi, le pagine che l’ex direttore di “Repubblica” dedica a Torino, città non più capitale, che mondata da un simile onore cerca nell’industrializzazione il suo personale riscatto, riuscendoci perfettamente.
Una città che accoglie migliaia di meridionali, stuoli di uomini ipnotizzati dal sogno di lavorare nella nascente Fiat, una fabbrica che ha scommesso sull’oggetto del futuro: l’automobile.
In questa Torino fredda, abbracciata dalle Alpi, scossa dal progresso si muovono non solo anonimi operai ma anche giovani intellettuali come il già citato Gramsci, a cui Mauro dedica pagine davvero imperdibili o Pietro Gobetti, divisi dal pensiero politico ma accomunati dalla passione per lo studio, per la ricerca, per il desiderio di cambiare il Paese, seppur da piani opposti.
Un libro che è un affresco storico, fatto di colori vivi che definiscono i contorni di un fatto di epocale importanza e non solo per la storia della sinistra italiana, ma anche per il contesto storico in cui quella scissione si inserisce e su cui si addensano le nubi di un regime incombente.
Un reportage di un grande giornalista che per scrivere questo libro ha scandagliato archivi, letto innumerevoli saggi, visitato luoghi, incontrato persone, tendendo un sottile filo rosso, quello che unisce due teatri, il Goldoni e il più piccolo e meno noto San Marco, luoghi della storia, memoria vivente di uno strappo mai davvero ricucito, un grande rattoppo che a cento anni di distanza non è ancora finito.
La dannazione. 1921. La sinistra divisa all’alba del fascismo è un libro per comprendere cosa realmente accadde in quei fatidici giorni, quando gli occhi di tutta la sinistra mondiale erano concentrati su Livorno ma anche per capire come si arrivò a quella rottura, una strada lastricata di passi incerti, errori evitabili, tra cui, quello fondamentale e cioè la sostanziale incapacità di comprendere la realtà politica e storica, il profilarsi strisciante di una sordida dittatura.
Lo capì sicuramente Giacomo Matteotti che il 31 gennaio 1921, a dieci giorni da quel fatale congresso che si conclude con l’epilogo più tragico e scontato, denuncerà con forza all’interno della Camera dei Deputati, la violenza l’illegalità di «un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti e nei suoi capi, di bande armate le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, di rappresaglia, minacce, incendi, e li eseguono.»
Un discorso coraggioso contro la nascente forza fascista che replicherà tre anni dopo ma, questa volta, con esiti che gli saranno fatali. Un atto d’accusa chiaro, lucida lettura di un fenomeno politico che la miopia di altri suoi colleghi, uno su tutti Filippo Turati, derubricava a «un fatale e transitorio fenomeno del dopoguerra» non comprendendo, invece, la portata eversiva del fascismo che, anche dai fatti di Livorno, trasse forza, scompaginando non solo il compassato sistema politico italiano ma anche la sinistra stessa, le cui granitiche certezze erano state già minate dalle fosche previsioni che Lenin aveva profetizzato nel 1920, incontrando a Mosca la delegazione socialista italiana:
A cento anni esatti dal Congresso di Livorno il libro di Ezio Mauro è senza dubbio il modo migliore per riannodare i fili di quei racconti, spalancando la porta della storia.