Alla nascita, il 20 marzo 1811, il futuro Napoleone II fu, probabilmente, il bambino più invidiato del mondo. Nel suo nome si unificava il potere su buona parte dell’Europa; nella sua persona si innestava lo stigma del predestinato, colui che sarebbe diventato uno degli uomini più potenti di sempre.
Ma la storia non fu generosa con quel ragazzo dai lineamenti gentili, riservandogli, soltanto, un posto fra i dimenticati di sempre. Questo è il racconto di Napoleone II, il re di Roma, l’unico figlio di Napoleone Bonaparte.
Una nascita difficile, un triste presagio
Parigi, alba del 20 marzo 1811, palazzo delle Tuileries.
L’attenzione è decisamente frenetica nelle grandi stanze di quel palazzo che sarà distrutto da un rovinoso incendio nel 1871 e che, da alcuni anni, è la residenza di Napoleone Bonaparte e di sua moglie Maria Luisa d’Austria.
I due si sono spostati non certo perché si amassero ma solamente per ragioni dinastiche, per gli imprescindibili obblighi imposti dal potere.
Napoleone, dove aver conquistato buona parte dell’Europa, desidera con tutto sé stesso un erede, qualcuno che dia seguito alla dinastia dei Bonaparte. L’amata Giuseppina, che ha sposato con rito civile nel 1796, donandole un anello con dentro scritto “al destino”, non gli ha dato l’agognato figlio e seppur a malincuore deve essere messa da parte per la ragione di Stato, che tutto muove, che ogni cosa spiega.
Il matrimonio con Maria Luisa d’Austria, officiato il 2 aprile 1810 nel Salon Carré del Louvre, trasformato per l’occasione in cappella, dal cardinale Joseph Fesch, zio materno dello sposo, è il coronamento di un perfetto disegno politico.
Ancora una volta Francia e Austria, mai troppo amiche, legano i loro destini attraverso un matrimonio; ancora una volta, dopo Maria Antonietta, una rampolla degli Asburgo, giunge a Parigi da Vienna, con la speranza di molti che la storia, questa volta, abbia un esito diverso.
Il figlio di Napoleone viene alla luce poco prima delle cinque del 20 marzo 1811. Intorno all’imperatrice dei francesi il caos regna sovrano, fra corse affannate e lacrime a stento trattenute.
Il parto dell’atteso erede non è andato come si sperava. Il bimbo è nato morto, la speranza di una successione è naufragata nella cocente disperazione. Mentre un brulichio di persone si prende cura di Maria Luisa, stremata da un parto difficile, il fagottino imperiale viene affidato al dottor Corvisart, l’unico che non volendo arrendersi all’evidenza, alla triste realtà, opta per un ultimo, disperato tentativo.
Il cerusico di corte non accetta che quel bambino, tanto atteso da Napoleone e dai francesi, possa essere morto. Lo sciacqua con acqua tiepida,
L’erede al trono imperiale, il figlio di Napoleone, colui che prima ancora di nascere è stato già insignito del titolo di re di Roma è vivo e sta bene.
Ora si può gioire.
La precedente mestizia si trasforma in giubilo, fra poco l’imperatore potrà lanciare l’atteso ordine di far sparare centouno colpi di cannone, il roboante messaggio che significa che l’erede è un maschio, colpi che, viceversa, se fosse stata una femmina, sarebbero stati soltanto ventuno.
Napoleone è fuori di sé per la felicità, finalmente potrà garantire ai Bonaparte e alla Francia una discendenza, ormai i sogni repubblicani post rivoluzionari sono ricordi pallidi, spersi nel vento.
A chi gli sta vicino nei minuti successivi al lieto evento, candidamente annuncia:
«Lo invidio: la gloria lo attende, mentre io ho dovuto correrle dietro! Io sono stato Filippo, lui sarà Alessandro. Per afferrare il mondo, non dovrà che tendere le braccia.»
Mai un vaticinio fu così errato, così lontano dalla realtà.
L’aquila non vola più. Il declino di Napoleone
L’entusiasmo di quei primi giorni nel giro di pochi mesi lascia mestamente posto alla tragedia. Il celeberrimo esercito di Napoleone che aveva piegato l’Europa, scalzando dai troni vetusti sovrani, si impantana prima nelle gelate terre russe, sprofondando, poi, definitivamente, in quelle fangose di Waterloo.
Per colui che sognava di dominare il mondo non rimane che l’oblio nella lontana isola di Sant’Elena, un luogo da cui, al contrario dell’Elba, fuggire è impossibile.
Il rapido e tragico declino di Napoleone avrà effetti anche su suo figlio, su quel re di Roma che la città eterna, come d’altra parte suo padre, non vedrà mai. Quel bambino invidiato da tutto il mondo passerà dagli onori all’oblio, dal potere all’anonimato, novello Cesarione nell’Europa della Restaurazione.
Napoleone II sarà formalmente imperatore dei francesi per due giorni, dal 4 al 6 aprile 1814, quando è costretto ad abdicare dai sovrani europei che preferiscono il ritorno sul trono del più affidabile Luigi XVIII, fratello del ghigliottinato Luigi Capeto.
Il gran cerimoniere di questa decisione è Klemens Wenzel Lothar von Metternich-Winneburg, tedesco di lignaggio, era nato a Coblenza nel 1773, ma austroungarico di adozione che, prima di diventare il potente ministro degli esteri sotto l’imperatore Francesco I, era stato anche ambasciatore a Parigi, ironia della sorte, proprio su richiesta di quel Napoleone che durante il Congresso di Vienna farà di tutto per cancellare dalla storia, obliando anche l’amato figlio.
Per Napoleone II, per quel bambino dai tratti bellissimi si aprono fatalmente le porte della corte viennese, dove diviene, a partire dal 1818, solo e soltanto il duca di Reichstadt, misero contentino per chi aspira alla gloria eterna, regalo non richiesto per colui che fin dalla nascita era stato ribattezzato l’Aiglon, l’Aquilotto.
Napoleone II, un francese alla corte degli Asburgo
A Vienna il bambino diventa un ragazzo bellissimo, corteggiatissimo ma solo, come poche altre persone al mondo. Vive tra i suoi amati libri, in mezzo all’ostilità di una corte che lo sta germanizzando, strappandogli, a partire dal nome, tutto ciò che è francese.
Non è più Napoleone II, bensì Franz, teutonico appellativo che rassicura l’algido nonno Francesco I e il fidato sodale Metternich. I ricordi di quel bambino cresciuto nella bambagia francese sono sempre più rarefatti, anche perché Napoleone II non ha più nessuno accanto a rinverdirli. La madre, Maria Luisa, è a Parma, a occuparsi di un piccolo ducato, generosa eredità del Congresso di Vienna; il padre nella lontana Sant’Elena, minuscola isola persa nell’Atlantico.
Thomas Lawrence
Su quel bambino, divenuto ormai un giovane adulto, si raccontano aneddoti e storie, maturano inevitabili pettegolezzi. Come quello che lo vuole padre di Francesco Giuseppe. Il legame fra Napoleone II e Sofia, la mamma di Francesco Giuseppe e futura poco amata suocera di Sissi, è notorio, tanto che più di qualcuno gli attribuirà anche la paternità del secondogenito di Sofia, quel Massimiliano d’Asburgo che sarà ucciso dai rivoluzionari nel lontano Messico.
L’opera di germanizzazione, pur pedissequamente condotta, non riesce, tuttavia, del tutto.
Metternich e soci non hanno fatto i conti con la grammatica degli affetti con il potere dei ricordi. Napoleone II, infatti, non ha reciso il legame con il padre, di cui si sente il naturale erede. Il suo unico, tacito obiettivo è quello di essere degno della gloria di quell’uomo che partendo dal basso aveva toccato, come pochi altri prima di lui, i vertici del potere.
La morte di Napoleone II, la fine di una dinastia
Ma la salute, forse già a partire da quella singolare nascita, non è la sua più fedele alleata. Il ragazzo pur crescendo in altezza e facendosi apprezzare come militare nell’esercito asburgico, ha una condizione fisica precaria, probabilmente accentuata da una strisciante forma di depressione. Soffre, in particolare, di malattie respiratorie, vulnus che eredita dalla madre, e di problemi gastrici, lascito, invece, dell’amato padre.
Nel gennaio del 1832, complice anche il terribile gelo che graffia la capitale austriaca, l’Aiglon, l’aquilotto, contrae una bruttissima forma di polmonite. La situazione, fin da subito, appare grave. Qualcuno propone di mandare il ragazzo in Italia, nei territori meridionali, dove il clima è più mite, una soluzione terapeutica ottimale, oltre che scontata ma non per Francesco I e Metternich.
Per quei due Napoleone II deve rimanere a Vienna, d’altra parte, come scrive la storica Necci, «vedono ormai il ragazzo come un problema di cui augurarsi una soluzione definitiva.»
E quella soluzione fatalmente arriva.
Il 22 luglio 1832, dopo che per qualche settimana si è sperato in una definitiva guarigione, la situazione inaspettatamente precipita. Napoleone II ha febbre altissima, sente freddo, nonostante il clima caldissimo e le tante coperte che gli vengono messe inutilmente addosso. Nella sua stanza sono presenti in tanti, come in quel lontano 20 marzo 1811 ma, come altre volte, manca quella madre che Napoleone II, fin da bambino, ha sempre cercato e mai davvero trovato.
Muore nel pieno della notte, dopo una terribile agonia. Viene seppellito nella Cripta dei Capuccini, il sacrario degli Asburgo, da cui verrà spostato nel dicembre del 1940, su “gentile concessione” di Hitler, il nuovo signore della Francia.
Il corpo dell’Aiglon viene tumulato a Parigi, nell’Hotel des Invalides, dove, esattamente cento anni prima, era stato solennemente seppellito Napoleone I. Padre e figlio, divisi dalla storia in vita, tornano a stare vicini, uno accanto all’altro, come avrebbero desiderato.
Nella cornice barocca dell’edificio costruito per ospitare inizialmente i militari invalidi francesi, l’Aquilotto tornerà finalmente sotto l’ala protettrice paterna, accanto a quel gigante capace di piegare buona parte dell’Europa sotto il clangore delle armi. Un uomo da cui era stato separato nel tempo della storia per il cinico volere dei potenti restaurati, un padre che ritroverà nel regno della morte.
Libri consigliati: Alessandra Necci, Il prigioniero degli Asburgo. Storia di Napoleone II re di Roma, Marsilio
[…] La seconda versione della mitologica Ebe è strettamente legata a Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone ripudiata, poi, per esigenze dinastiche a favore di Maria Luisa d’Austria da cui l’imperatore ebbe il desiderato figlio, il futuro Napoleone II. […]