Il 1° maggio 1931, a New York, viene inaugurato l’Empire State Building, per decenni, con i suoi 443 metri, l’edificio più alto del mondo.
Questa è la storia di uno dei simboli della Grande Mela, il racconto di un luogo entrato, anche grazie al cinema e alla cronaca, nel cuore dei newyorchesi e non solo, emblema di quella verticalità che, da più di due secoli, è una delle cifre più evidenti dell’architettura americana.
Il grande incendio di Chicago del 1871 e la nascita dei primi grattaceli
L’uomo, da sempre, ha nutrito il desiderio di costruire giganti artificiali, edifici che fossero il più alti possibile, un tentativo estremo di sfiorare il cielo, per solleticare la barba di Dio.
Uno di primi popoli capace di dare una forma a questo atavico sogno fu quello degli egizi.
Millenni fa gli antenati di Cleopatra costruirono la Piramide di Cheope, la più alta, con il suoi oltre 138 metri, fra tutte quelle curiose architetture sepolcrali che quel popolo sorto nei pressi del delta del Nilo fu capace di realizzare.
In epoche successive l’ingegno umano elevò torri possenti, armonici campanili, cattedrali imponenti, tutti edifici che, al netto della loro originaria funzione, provarono a soddisfare l’originario desiderio di “grattare” la sfera celeste.
Dalla Torre di Pisa al Duomo di Milano; dal londinese Big Ben alla parigina Torre Eiffel; dal campanile del Duomo di Colonia a quello della Cattedrale di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo, centinaia di metri di pietra e ingegno che, però, impallidirono al cospetto dei giganti americani che fecero la loro comparsa sul finire del 19° secolo.
Stiamo parlando, ovviamente, del grattacelo, l’edificio che in poco tempo, dalla fine dell’Ottocento in poi, divenne, innegabilmente, uno dei simboli più evidenti e rappresentativi della cultura e della società americana.
La città che per prima fece da madre a questi moderni giganti d’acciaio fu Chicago.
Alla base della nascita dei grattaceli ci fu un fatto tragico che segnò profondamente la grande metropoli americana.
Chicago, 8 ottobre 1871. Sono da poco trascorse le nove di una sera afosa, quando da un edificio in legno, adibito a stalla e granaio, al 137 di DeKoven Street, si sprigiona un incendio che si estende rapido, interessando anche altri edifici vicini.
In poco tempo, quello che sulle prime sembra solo un piccolo fuoco, dalla proprietà di Patrick e Catherine O’Leary si propaga a buona parte della città, assumendo i contorni di un vero e proprio inferno.
Favorito anche circostanze sfavorevoli, quali una prolungata siccità e una perdurante ventosità, l’incendio, che la leggenda vuole originato da una mucca che scalciando rovescia una lanterna a petrolio sul fieno, semina terrore e distruzione, determinando, in una conta delle vittime mai realmente definita, oltre 200 morti.
Quando, dopo tre lunghissimi giorni, anche gli ultimi fuochi sono ormai spenti, il quadro che si palesa agli increduli occhi delle autorità municipali è catastrofico. Chicago è un deserto di rovine fumanti, sono, infatti, oltre 17.000 gli edifici distrutti dalle fiamme, oltre un terzo della città non esiste più.
L’urgenza, ora, è quella di ricostruire gran parte della città, ridisegnare una metropoli di oltre un milione di abitanti e il tutto nel minor tempo possibile.
La rinascita di Chicago è un’opportunità economica ma anche tecnologica straordinaria. Per molti progettisti esiste davvero la possibilità di sperimentare nuove tipologie di edifici che rappresentino, al tempo stesso, innovazione ed efficienza.
Sulle scrivanie dei principali studi di architettura della città fanno la loro ingombrante comparsa numerosi progetti e tra questi c’è anche quello di William Le Baron Jenney.
Questo architetto, originario del Massachusetts, lancia l’idea di un edificio che si sviluppi in altezza, una proposta rivoluzionaria non tanto per il discorso della verticalità, nella stessa Chicago erano stati realizzati edifici di anche dieci piani, quanto per la progettualità e, soprattutto, per i materiali da utilizzare, in primis, l’acciaio.
Nel 1885, a quattordici anni da quel terribile incendio, viene inaugurato l’Home Insurance Building, unanimemente riconosciuto come il primo grattacielo della storia.
A colpire della creatura partorita dalla florida mente dell’architetto William Jenney, non sono tanto le dimensioni, 10 piani per complessivi 42 metri d’altezza, quanto l’innovativa struttura, uno scheletro in acciaio, inserito in un contesto di muratura.
L’Home Insurance Building piace e convince. Il grattacielo, che sulle prime appare come un paradosso tecnologico, figlio dell’irrefrenabile virtuosismo di un architetto, in poco tempo passa da eccezionalità a consuetudine, una soluzione architettonica che, imitando l’elasticità degli alberi, è capace di assolvere al meglio la dilagante esigenza abitativa, il tutto attraverso dei costi contenuti, un fattore che nella Chicago di fine Ottocento e non solo, è un aspetto da non trascurare.
Alla base del futuro successo del grattacielo, che affonda le radici nell’ingegneristica militare, c’è l’idea di moltiplicare il terreno, bene raro e prezioso, in altezza, ripetendo costantemente una serie di livelli, un numero cospicuo di piani.
Dieci anni dopo è la volta del Reliance Building, colosso di 15 piani in acciaio e vetro ideato dall’architetto Daniel Hudson Burnham.
Nel giro di una manciata di anni questi giganti si innalzano poderosi nel cielo di Chicago, modificando, per sempre, lo skyline cittadino.
In poco tempo il grattacielo fa la sua comparsa anche in altre città americane, a partire da New York, dove tra il 1910 e il 1940 vengono costruiti i grattacieli simbolo della Grande Mela.
Ecco, allora, elevarsi, tra gli altri, il Met Life Tower nel 1909, il Woolworth Building nel 1913, il Chrysler Building nel 1928, l’American International Building nel 1932, il GE Building nel 1933 ma, soprattutto, l’Empire State Building, nel 1931.
La proliferazione dei grattacieli nelle città americane, tuttavia, sarebbe stata impossibile senza l’ascensore, un’invenzione fondamentale, senza la quale, quei colossi in acciaio, sarebbero rimasti un avveniristico ma irrealizzabile progetto.
A inventare, quella che diventerà la più fedele alleata dei grattaceli, è Elisha Graves Otis che, nel 1853, deposita il brevetto di una piattaforma mobile che, alcuni anni dopo, nel 1861, farà la sua comparsa nei primi edifici americani, rivoluzionando, per sempre, il concetto abitativo.
La nascita dell’Empire State Building, il più alto dei giganti d’acciaio
Il cantiere, che nel giro di meno di due anni vedrà fiorire il più alto edificio di sempre, si apre il 24 settembre 1929, un mese prima del rovinoso crollo della Borsa di Wall Street.
Prima di costruire un nuovo gigante c’è, tuttavia, da abbattere. All’angolo, infatti, della Fifth Avenue e la West 34th Street, nel quartiere Midtown del distretto di Manhattan, si trova l’ampio complesso del Waldorf Astoria, il più antico hotel di New York che la potente famiglia Astor aveva fatto costruire nel 1897, sui terreni che in origine erano appartenuti a John Thompson, un semplice fattore.
Il Waldorf Astoria è ormai una struttura vetusta, tanto che i proprietari vogliono costruirne una nuova nel prestigioso Park Avenue, l’ampio viale newyorchese già sinonimo di sfarzo e di aristocrazia.
Poche settimane dopo la definitiva chiusura del vecchio hotel Astoria, gli edifici di quello storico albergo ma soprattutto i preziosi terreni, vengono acquistati da un gruppo di imprenditori, capitanato da John Jakob Raskob, un ex dirigente della potente General Motors.
I nuovi proprietari, che costituiscono per l’occasione la Empire State Corporation, nominando presidente Alfred E. Smith, ex governatore dello stato di New York, affidano il progetto del grattacelo allo studio Lamb & Harmon che, in poco tempo, sviluppa il disegno definitivo dell’opera, un colosso, in stile art decò, di ben ottanta piani che, a conclusione dei lavori, diventano 103, modifica dettata dalla stringente volontà di primeggiare sul Chrysler Building, un vicino decisamente invadente.
Alla base della fama dell’Empire State Building non c’è solo la componente altezza, un primato che resiste fino al 1973, quando vengono terminate le Torri Gemelle del World Trade Center, ma, soprattutto la rapidità realizzativa e le tecniche utilizzate per assemblarlo.
L’Empire State Building viene costruito in tempi record. In sole 42 settimane, infatti, si passa dalle macerie dell’hotel Astoria alla silhouette déco di quel gigante di acciaio.
In tempi in cui la crisi economica morde, siamo nel pieno della Grande Depressione, la necessità di fare in fretta è un’istanza opprimente. I costi proibitivi del cantiere sono ben noti anche ai ricchi proprietari del futuro Empire che non possono permettersi tempi lunghi per tirare su la loro creatura.
L’incredibile rapidità realizzativa è legata a una geniale soluzione, quella di realizzare ogni parte dell’Empire State Building fuori dal cantiere.
Eccezion fatta per gli scavi, iniziati nel mese di gennaio del 1930, nell’area di cantiere si procederà solo all’assemblaggio dei grandi pezzi d’acciaio, fasi che saranno eternate attraverso le epiche fotografie di Lewis Hine che immortala non solo l’attività lavorativa ma soprattutto le fasi in cui gli operai si riposano, magari mangiando a cavalcioni di una trave.
D’altra parte mangiare a quelle altezze non era un vezzo per gli operai dell’Empire ma un’assoluta necessità. Non c’era tempo per far scendere il personale a terra per la pausa pranzo. Farlo avrebbe determinato un dilatare dei tempi di realizzazione e, di conseguenza, dei costi esecutivi.
Per cui chi voleva concedersi una pausa poteva farlo solo sospeso nel vuoto, con buona pace delle vertigini.
Il 1° maggio 1931 tutto è terminato, il gigante è finalmente in piedi, l’Empire State Buinding è pronto per l’inaugurazione, a cui prendono parte non solo i proprietari, giustamente orgogliosi per quella loro creatura, ma anche diversi politici, a partire dal presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover e passando per Franklin Delano Roosevelt, all’epoca governatore di New York e che, due anni dopo. diventerà il 32° presidente americano.
L’Empire State Building e il grande incendio del 1963
L’Empire State Building diventa rapidamente non solo un simbolo di New York ma anche dell’America stessa, incarnando il senso di riscatto, la volontà di risorgere, dopo il dramma della Grande Depressione, durante la quale quel gigante viene costruito.
Pochi anni dopo, però, la solenne inaugurazione, l’Empire vive uno dei momenti più drammatici della sua storia. Dopo aver suggerito, nel 1933, la scena finale del celebre film King Kong, girata, in realtà, negli studi di Hollywood, dopo esser stato accidentalmente colpito da un aereo (un Mitchell B-25 della US Air Force, pilotato dal colonnello William Franklin Smith Jr), incidente che, tuttavia, non determina grossi danni, ben più gravi furono i danni occorsi a un edificio adiacente, colpito da uno dei motori dell’aereo, il 1° maggio 1947 l’Empire State Building è teatro di un drammatico fatto di cronaca: il suicidio di Evelyn Francis McHale.
Quel giorno il cielo su New York è nuvoloso. Sono appena trascorse le 10.30 quando una giovane ragazza si lancia nel vuoto dalla terrazza panoramica, posta all’86° piano dell’Empire State Building.
Ignote le cause di quel suicidio. Di Evelyn, che si schianta sul tetto di una limousine, fotografata dallo studente Robert Wiles, quello scatto sarà in seguito acquistato da Andy Warhol, rimane una sciarpa bianca, che volteggia lenta nel cielo di New York e un biglietto enigmatico che non fornisce, però, molte spiegazioni circa quel gesto.
Sedici anni dopo il suicidio della ventitreenne McHale, l’Empire è ancora al centro della cronaca, questa volta per un terribile incendio che, per fortuna e per il tempestivo intervento dei pompieri, non avrà effetti drammatici.
Sono le 6 del mattino del 8 gennaio 1963 quando, dall’83° piano dell’edificio più alto del mondo, si sprigionano improvvise delle fiamme.
Per fortuna a quell’ora le persone all’interno dell’Empire State Building sono poche ma la tensione è tanta, nonostante l’arrivo dei vigili del fuoco sia piuttosto tempestivo.
Dalla 34^, la celebre strada che margina la base del colosso in acciaio, gli occhi degli astanti, che rapidamente aumentano, sono tutti rivolti verso la sommità dell’Empire, nascosto da una nube sempre più densa e minacciosa.
Poco dopo ecco uscire, tutte illese, per fortuna, le poche persone che occupano a quell’ora l’edificio. Sono tecnici e operai che lavorano presso le stazioni televisive ospitate dal grattacielo e alcuni addetti alle pulizie, tutte persone che si sentono davvero delle miracolate, avendo facilmente intuito a quali rischi sarebbero potuti incorrere se le fiamme non fossero state subito domate dal pronto intervento dei pompieri.
Il giorno dopo il “Corriere della Sera” titolò in prima pagina:
È in fiamme il grattacielo più alto del mondo.
Ma quell’incendio non produsse più tanto danni. L’Empire State Building superò anche quell’episodio drammatico di inizio gennaio 1963, continuando a essere un simbolo, un punto di riferimento per gli abitanti di New York, la città che non dorme mai.
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