Il 23 agosto 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti vengono uccisi sulla sedia elettrica nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham, capoluogo della contea di Norfolk nello stato del Massachusetts, Stati Uniti.
Di norma, in questi casi, si dovrebbe usare il verbo giustiziati, visto che la condanna a morte, per quanto umanamente discutibile, è, tuttavia, l’atto finale di un percorso processuale, l’esecuzione di una sentenza.
Ma per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti non si trattò di un atto di giustizia. La loro morte sulla sedia elettrica, in quell’agosto del 1927, fu l’ingiusto, inaccettabile epilogo di un processo iniquo da cui scaturì una condanna vergognosa basata su prove inesistenti e figlia, soprattutto, di una cultura razzista e oscurantista.
Questa è la storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due delle tante vittime della malagiustizia americana.
Villafalletto e Torremaggiore, due realtà italiane di fine Ottocento
Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco nascono tutti e due in Italia, seppur alle due estremità di quella giovane nazione, unita da una manciata di anni, in cui le divisioni geografiche, politiche, sociali ed economiche sono ancora abissali, difficili da ricomporre.
Vanzetti nasce a Villafalletto, l’11 giugno 1888, primogenito di Giovanni Battista, piccolo proprietario terriero e gestore di un caffè in paese. Villafalletto è un piccolo comune piemontese, minuscolo ingranaggio della provincia cuneese, un paesino adagiato sulle rive della Maira, che strizza l’occhio alla frontiera con la Francia, cullandosi fra colline e campi coltivati.
Nel comune cuneese Bartolomeo vi rimane tredici anni, poi, la voglia di mettersi in gioco lo porta, prima a Cuneo, dove impara il mestiere di pasticciere e poi a Cavour, dove vi rimane tre anni, lavorando come confettiere.
Ma quella realtà provinciale gli va stretta, quei mestieri non gli piacciono, li svolge solo per far piacere al padre e perché, come lui stesso scriverà, non avrebbe saputo «quale altro mestiere scegliere.»
Nicola Sacco, invece, nasce, il 27 aprile 1891, a Torremaggiore, un paese in provincia di Foggia, terra di olivi e di sterminati campi pianeggianti che punteggiano il Tavoliere delle Puglie.
Come per Bartolomeo anche per Nicola la famiglia, come scrive Lorenzo Tibaldo, nel suo bellissimo Sacco e Vanzetti innocenti, «è il centro dell’esistenza e degli affetti (…) una famiglia serena, raccolta nella profumata e verde pianura pugliese» che Sacco ricorderà sempre con piacere e nostalgia.
L’approccio al socialismo di Bartolomeo Vanzetti
Nel 1906 Bartolomeo Vanzetti si trasferisce a Torino e il soggiorno nell’ex capitale sabauda sarà determinante nella sua formazione politica.
La città piemontese offre al giovane pasticciere, oltre che maggiori opportunità lavorative, anche la possibilità di conoscere l’altra faccia del lavoro, quella segnata dalle ingiustizie, dai soprusi, dallo sfruttamento della manodopera, tristi realtà di troppi lavoratori.
Bartolomeo, sensibile com’è, non rimane impassibile davanti a quelle vicende che nella più ovattata provincia cuneese, quasi ignorava. A Torino Vanzetti conosce non solo la sofferenza ma anche il desiderio di lotta, la volontà di molti lavoratori di non abbassare più la testa, davanti all’arroganza dei padroni.
Nella prima capitale di Italia, che qualche anno dopo lascerà, seppur temporaneamente, lo scettro a Firenze, Vanzetti approfondisce quelle tematiche socialiste con cui, appena quattordicenne, aveva iniziato a familiarizzare nei tre anni trascorsi a Cavour.
Torino sarà per Vanzetti un laboratorio sociale e politico di primo piano che inciderà e non poco sulla sua futura formazione politica, tanto che lo stesso Vanzetti, a proposito dirà: «l’umanismo e l’uguaglianza dei diritti cominciò a far breccia nel mio cuore.»
Ma sarà in America che Vanzetti maturerà politicamente, aderendo, convintamente, all’anarchismo, una corrente politica molto forte negli Stati Uniti, a cui fanno riferimento molti italiani.
Nicola Sacco, invece, come testimonierà il fratello Sabino, scopre la politica nel mondo contadino di Torremaggiore, anche se il suo approccio è decisamente più mitigato e legato, comunque, agli ideali mazziniani, un sentimento politico infarcito di repubblicanesimo e di un’evidente avversione alla politica di Francesco Crispi.
Anche per Nicola Sacco sarà l’America a definire il suo profilo politico.
Il sogno americano di Sacco e Vanzetti
Il sogno americano si annida lento ma inarrestabile nella mente dei due italiani. I racconti di coloro che sono già partiti e che in quel giovane e sconfinato paese hanno “svoltato”, le condizioni di vita non proprio straordinarie condotte in Italia, il desiderio di provare a farcela, sono motivazioni più che sufficienti che spingeranno, prima Bartolomeo Vanzetti e poi Nicola Sacco, a lasciare l’Italia e a tentare l’avventura.
Il primo a imbarcarsi è Vanzetti; lo fa all’inizio dell’estate del 1908, seguendo le orme di milioni di italiani che, prima di lui, avevano tentato la fortuna oltreoceano, compreso suo padre che, tra il 1881 e il 1883, aveva vissuto negli Stati Uniti.
Esiziale nella scelta di partire alla volta dell’America è la morte dell’amata madre, stroncata da un tumore. Una volta sbarcato in terra americana Vanzetti va a vivere a New York, ospite di un cugino. La città, come scrive, gli appare meravigliosa e imponente, tanto da fargli apparire Torino poco più di un villaggio.
Ma New York, pur scintillante e maestosa, non fa per Vanzetti che decide di partire, trasferendosi prima nel Connecticut e, poi, definitivamente, nel Massachusetts, a Plymouth.
Nicola Sacco, invece, parte alla volta dell’America nell’aprile del 1909, lo fa in compagnia dell’amato fratello Sabino. A spingere i due pugliesi a lasciare tutto per tentare il sogno americano non c’è la disperazione, la famiglia Sacco non è povera, ma, come scrive lo stesso Nicola, «il desiderio di affrontare l’ignoto, di provare nuove sensazioni» di vedere con i propri occhi quella terra promessa di cui, molti compaesani di Nicola e Sabino, raccontano mirabilia.
La vita di Sacco e Vanzetti in America, tra sogno e realtà
L’America di cui Bartolomeo e Nicola fanno la conoscenza non è quella sognata al di qua dell’oceano. Le condizioni di vita di moltissimi italiani in quel continente sono difficilissime, segnate dalla povertà, da privazioni estreme, dalla fame, dalla miseria, dalla solitudine e da uno strisciante razzismo.
Il lavoro c’è ma le paghe sono modestissime e tali, in molti casi, da non permettere neppure una vita dignitosa. La piaga del lavoro minorile è evidente, così come il fenomeno dello sfruttamento della manodopera, specie di quella femminile.
Nicola Sacco, trasferitosi a Milford, in Connecticut, trova occupazione in uno dei tanti calzaturifici della città. La paga, per fortuna, è dignitosa, tanto che decide di mettere su famiglia, sposando, nel 1912, Rosa Zambelli, emigrante come lui, che un anno dopo il matrimonio, mette alla luce il primogenito Dante.
Sono anni scanditi dal lavoro ma anche dal crescente impegno politico nel movimento anarchico, a cui aderisce, come ha scritto Lorenzo Tibaldo, più per una reazione etica ed emozionale, frutto della sua sensibilità e della sua pur generica cultura politica che aveva mutuato in Italia.
Ma l’entrata in guerra degli Stati Uniti nell’aprile 1917 cambierà le condizioni di vita di Nicola e Bartolomeo, come quelle di milioni di emigrati. Nel maggio di quello stesso anno il presidente americano Wilson firma il Selective service act, un provvedimento che impone a tutti i cittadini maschi con un’età compresa tra i 21 e i 30 anni di registrarsi agli uffici della leva.
Sacco e Vanzetti, che nel frattempo si sono conosciuti a Boston, durante un comizio degli anarchici, di registrarsi, rischiando così l’arruolamento, non hanno alcuna voglia, non sono venuti certo in America per andare a combattere una guerra in Europa.
Per questo, su consiglio dell’amico Luigi Galleani, si danno alla clandestinità, riparando nel vicino Messico, dove rimangono fino alla fine del conflitto quando, rientrati negli Stati Uniti, vanno a vivere entrambi a Plymouth nel Massachusetts, una città dove Vanzetti aveva già vissuto.
Nicola trova lavoro come operaio in una fabbrica di scarpe, Bartolomeo, invece, avvia una piccola attività di spaccio di pesce, che acquista giornalmente al porto e vende per strada.
Ma la realtà in quella città come in altri contesti urbani americani è profondamente mutata, specie dopo la fine della Prima Guerra mondiale. La violenza è diventata una costante della società americana, specie verso gli stranieri, visti sempre più come una minaccia e non come una risorsa.
Comunisti e anarchici sono considerati ospiti indesiderati, soggetti temutissimi su cui si addensano le nuvole di un occhiuto potere, pronto a scaricare su di loro ogni possibile accusa.
Sacco e Vanzetti e la fine del sogno: il tragico maggio, l’arresto e l’inizio del calvario
La mattina del 3 maggio 1920 il corpo dell’anarchico Andrea Salsedo viene trovato sfracellato sul marciapiede sotto il Palazzo di Giustizia di New York, dove era stato rinchiuso in compagnia di un altro anarchico, Roberto Elia.
I due erano stati arrestati con l’accusa di stampare opuscoli sovversivi, un’accusa normale in un tempo di vera e propria caccia alle streghe.
La versione delle autorità sulla morte di Salsedo è quella di suicidio, l’italiano, originario di Pantelleria, una sorta di caso Pinelli ante litteram, si sarebbe gettato dalla finestra posta al quattordicesimo piano del Palazzo di Giustizia, frustrato dal peso di aver tradito, durante uno dei tanti interrogatori, l’amico Elia.
Ma alla tesi del suicidio gli anarchici e non solo, non credono. L’eco di quello che viene, a ragion dovuta, ritenuto un brutale assassinio giunge anche a Plymouth, dove Sacco e Vanzetti, insieme ad altri anarchici, decidono di organizzare una manifestazione per protestare contro una verità confezionata ad arte, un modo per gridare la verità.
Ma a quella manifestazione Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco non parteciperanno mai.
Il 5 maggio 1920 i due, probabilmente a causa di una soffiata, vengono arrestati mentre sono a bordo del tram che li sta portando a Brockton. I poliziotti perquisiscono sia Bart e Nick, come da tempo li chiamano in America, e gli trovano addosso due pistole. A Vanzetti, inoltre, vengono sequestrati degli appunti destinati alla tipografia, ritenuti sovversivi e.
Ma non saranno le accuse di porto d’armi illegale e possesso di materiale sovversivo quelle formalizzate dagli investigatori, ma ben altre e decisamente più gravi.
Vanzetti viene accusato di aver compiuto due rapine, una il 24 dicembre 1919 a Bridgewater e l’altra, con tanto di doppio omicidio, a South Braintree, il 15 aprile 1920.
A Nicola Sacco, invece, viene addebitata la sola partecipazione ai fatti di South Braintree, visto che il 24 dicembre 1919 non poteva aver commesso la rapina a Bridgewater, essendo quel giorno regolarmente al lavoro.
Sono accuse pesantissime che spalancano per i due le porte del carcere, è l’inizio di un infinito calvario.
Le indagini vengono affidate al capo della polizia di Bridgewater, Micheal Stewart che individua alcune analogie fra i due fatti criminosi tra cui, la presenza su entrambi i luoghi di rapinatori italiani, circostanza desunta sulla base di alcune testimonianze, non sempre coerenti.
L’italianità dei rapinatori porta gli investigatori a ricercare i responsabili nel mondo degli anarchici, negli Stati Uniti degli anni Venti, infatti, la pista anarchica, un poco come avverrà anni dopo in Italia, è quella ideale da battere quando le indagini annaspano, quando non riesce a fare molta luce.
La lunga fase processuale e un esito scontato
Le porte dei tribunali americani si aprono per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti nel giugno del 1920, con processi separati.
Il processo a Vanzetti inizia il 22 giugno, pochi giorni dopo che vede coinvolto Nicola Sacco. Sulle prime sempre andare bene per l’anarchico piemontese. «Il procuratore Katzmann – come scrive Lorenzo Tibaldo – ha ben poche prove, se non testimonianze incerte, titubanti e contraddittorie, sulla presenza di Vanzetti alla rapina del 24 dicembre 1919: tre testimoni presentati dall’accusa, Cox, Bowles e Harding, cambiano spesso le loro deposizioni rispetto all’udienza preliminare e anche in fase di dibattimento continuano a mutare idea.»
Ad avvalorare, oltretutto, la totale estraneità ai fatti della vigilia di Natale c’è la testimonianza del tredicenne Beltrando Brini. Il ragazzo testimonia che il 24 dicembre era con Vanzetti a Plymouth, intento ad aiutarlo nella vendita del pesce.
Ma proprio quella testimonianza si trasforma, nonostante la sua assoluta attendibilità, in una sorta di boomerang.
Katzmann, infatti, approfittando della giovane età del teste, lo torchia a puntino, ponendogli domande a trabocchetto, con il solo scopo di metterlo in difficoltà, di farlo cadere in contraddizione. Un’azione spregevole, in contrasto con ogni etica professionale, alla quale il giudice Thayer non si oppone, permettendo, invece, al procuratore di andare avanti indisturbato.
Sulla testimonianza di Brini pesano, come macigni l’età e soprattutto la sua italianità, elementi che agli occhi della giustizia americana rendono inattendibile ogni affermazione resa dal ragazzo.
Il 14 settembre 1920 Sacco e Vanzetti vengono formalmente incriminati di rapina e omicidio plurimo, accuse per le quali si dichiarano del tutti estranei, ma alla loro innocenza la giustizia americana non crederà.
Il terzo e ultimo processo contro i due che si apre il 7 giugno 1921, a più di un anno dall’arresto di Sacco e Vanzetti, si conclude il 14 luglio 1921 con la sentenza pronunciata dal giudice Thayer di colpevolezza per entrambi per omicidio di primo grado, reato per cui è prevista la sedia elettrica, strumento di morte inventato dal dentista di Buffalo, Alfred Southwick e introdotta nel 1888 al posto della più cruenta impiccagione.
L’inutile testimonianza di Celeste Madeiros
È il 18 novembre 1925 quando Celeste Madeiros, un portoghese detenuto nel carcere di Dedham, lo stesso dove sono rinchiusi i due italiani, fa pervenire a Nicola Sacco un biglietto dal contenuto sconcertante:
Una simile affermazione per gli avvocati Thompson ed Ehrmann, i difensori dei due italiani non può non essere considerata, neppure dalla partigiana giustizia americana.
Ma si tratta di una vana speranza. Il 23 ottobre 1926 il giudice Thayer rigetta la richiesta difensiva, ritenendo la confessione di Madeiros non attendibile, nonostante il teste abbia fornito prove importanti e non semplici indizi.
La difesa di Sacco e Vanzetti non dispera e impugna quella decisione davanti alla Corte suprema del Massachusetts, ma il 5 aprile 1927 arriva la doccia gelata, il ricorso vien rigettato.
È la fine, il crollo di ogni speranza.
La protesta del mondo e l’uccisione di Sacco e Vanzetti
Quando la notizia della sentenza si inizia a diffondere, la reazioni di milioni di persone è di totale indignazione per quell’atto di disumana ingiustizia.
I giornali di sinistra, come il francese “Humanitè” scrivono di una sentenza di classe, ma anche quelli più moderati si fanno sentire. È il caso del periodico “Atlantic Monthly” che, nel marzo del 1927, pubblica l’articolo Il caso di Sacco e Vanzetti. A scriverlo è il professor Felix Frankfurter, docente di diritto all’università di Harward. Lo studioso, di area conservatrice, smonta pezzo per pezzo la sentenza emessa dal giudice Thayer, dimostrando come sia figlia di percorsi processuali privi di qualsiasi fondamento logico-giuridico.
A protestare sono anche personalità del calibro di Albert Einstein o Bertrand Russel ma, soprattutto, la gente comune. Molte ambasciate americane, in varie parti del mondo, vengono letteralmente prese d’assalto da comuni cittadini che contestano quell’ingiusta sentenza, chiedendo a gran voce la grazia per i due anarchici italiani.
Persino Benito Mussolini si muove. In gran segreto il dittatore tratta con il governo americano la liberazione dei due anarchici; a muoverlo in tal senso non sono motivazioni politiche quanto la convinzione ragioni che la scarcerazione di Sacco e Vanzetti possa giovare all’immagine internazionale del regime fascista.
Ma ogni cosa ormai è inutile, anche l’estremo di papa Pio XI tentativo messo in atto da che, attraverso incarica il nunzio apostolico in America, prova a fare pressione sul governo statunitense al fine di ottenere un atto di clemenza.
Non rimane per Sacco e Vanzetti che attendere l’esecuzione, lo fanno, d’altra parte, da sette anni, un’attesa disumana, più che sufficiente, come ebbe a dire lo stesso Pio XI «per far meritare loro la grazia.»
Alle 23.15 del 22 agosto 1927, quando il sole ormai è da tempo tramontato, il direttore del carcere Hendry, non senza un palpabile imbarazzo, annuncia a Nicola e Bartolomeo che saranno di lì a poco giustiziati.
A quella comunicazione Vanzetti, ormai rassegnato, serafico esclama: «dobbiamo inchinarsi all’inevitabile.»
Il primo a essere ucciso, pochi minuti dopo la mezzanotte, è Nicola Sacco, che, ironia della sorte, prima del suo arresto, aveva già deciso di far ritorno in Italia, tanto che il 20 aprile 1920 aveva portato al Consolato italiano le foto necessarie per il passaporto.
Prima di morire, con voce calma, manda un saluto alla moglie, ai figli, a tutti i suoi amici e all’amata madre, morta da poco più di un anno. Le sue ultime parole sono «viva l’Anarchia.» Dodici minuti dopo l’esecuzione di Sacco è la volta di Bartolomeo Vanzetti.
Anche lui, come il suo amico, pronuncia prima di morire un breve discorso che commuove più di un presente:
Il giorno dei funerali sono più di quattrocentomila persone che vi prendono parte, una folla immensa e silenziosa che rende omaggio ai due italiani, vittime di una profonda ingiustizia che, seppur tardivamente, sarà ammessa dall’amministrazione americana.
Nel 1977, a cinquant’anni da quella sporca faccenda nell’America della pena capitale, come la definì Andrea Camilleri, l’allora governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, assolve ufficialmente, cosa mai successa in cento anni di esecuzioni capitali, i due anarchici, dichiarando «che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti».
«Con me ho il mio amore, la mia innocenza, i lavoratori ed i poveri
Per tutto questo sono integro, forte e pieno di speranze.
Ribellione, rivoluzione non han bisogno di dollari,
Ma di immaginazione, sofferenza, luce ed amore e rispetto
Per ogni essere umano.»
(Joen Baez, Ballata di Sacco e Vanzetti)
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