Il nome di Paolo Gorini oggi può dire poco ma nel 1872 fu piuttosto celebre, specie nell’entourage dei mazziniani. Fu lui, infatti, a tentare la pietrificazione della salma di Giuseppe Mazzini, una storia, dai contorni da romanzo gotico, tutta da raccontare.
La morte di Giuseppe Mazzini
Pisa, 10 marzo 1872. Sono trascorse da poco le 13.30 quando Giuseppe Mazzini, da alcuni giorni ospite della famiglia Rosselli, muore.
Nella casa di via della Maddalena è arrivato sul finire di febbraio 1872, direttamente da Lugano, dove è stato ospite di Sara Nathan, amica di vecchia data, figura centrale nella vita del politico genovese, nonché madre di quell’Ernesto Nathan che divenuto sindaco di Roma, porterà in Campidoglio gli ideali mazziniani.
A Pisa, Mazzini giunge con il nome di George Brown, un distinto negoziante inglese. Si tratta di un’accortezza necessaria, troppo vivo è il ricordo dell’ultimo arresto in ordine di tempo, quello subìto il 14 agosto 1870, a Palermo, dove Mazzini si trova per organizzare i moti per la conquista dello Stato pontificio.
Ne scaturisce l’ennesima detenzione, questa volta nel carcere di Gaeta, da cui, però, esce poco dopo, usufruendo dell’amnistia concessa dal re all’indomani della conquista di Roma.
Ma dall’ex penitenziario borbonico viene fuori un uomo provato, lontano parente di quello che si infervorava per le lotte di liberazione, sognando sulle ceneri della gloriosa Repubblica Romana un destino differente per l’Italia.
La realtà politica italiana è negli ultimi anni mutata ma non nell’ottica che Mazzini desiderava. L’agognata repubblica è rimasta un’utopia. Il percorso intrapreso dalle lotte risorgimentali è approdato in un porto lontano dai desiderata mazziniani. La montagna ha partorito un topolino e quel regno sabaudo, da sempre poco amato, ha portato a termine un processo unitario ben diverso da quello sognato fin dai tempi delle prime agitazioni carbonare.
Anche la più flebile speranza è venuta meno. L’Italia non sarà una repubblica, tanto meno una democrazia pienamente matura. Nondimeno lo entusiasma il quadro europeo.
La caduta di Napoleone III e i successivi sviluppi, ivi compresa l’effimera esperienza della Comune di Parigi, mai amata da Mazzini, certificano anche in Francia il fallimento dei suoi principi, delle sue speranze.
A fronte di queste cocenti delusioni è naturale che Mazzini appaia a chi lo incontra in quel breve soggiorno pisano come un uomo fiaccato prima che nella salute, nello spirito. Questo il ricordo del dottor Rossini, medico di famiglia dei Rosselli:
I primi giorni trascorsi dal signor “Brown” a Pisa non producono effetti positivi sulle condizioni di salute già critiche. Lui stesso nelle sue lettere sottolinea di passare da una malattia a un’altra, di tossire continuamente, di essere costantemente raffreddato e di essere vittima di una «atonia generale delle funzioni organiche.»
A chiunque si mostri Mazzini appare di una magrezza quasi spettrale, l’ombra di se stesso che solo la sua proverbiale «energia spirituale», come scrive un quotidiano inglese, riesce a tenere ancora insieme.
La situazione precipita la sera del 9 marzo, quando Mazzini, dove aver perso la voce, mostra, come riportato dal professor Minati che lo visita, «una leggera esaltazione mentale.» Così lo storico inglese Denis Mack Smith sulla morte di Mazzini:
Che fare del corpo di Giuseppe Mazzini
Giuseppe Mazzini è morto da poche ore quando al capezzale di casa Rosselli, dove sono giunti trafelati amici e collaboratori stretti del politico genovese, inizia a palesarsi l’idea di imbalsamare il fondatore della Giovine Italia.
Convinto sostenitore di rendere immortale quel corpo illustre è Agostino Bertani, medico e collaboratore della prima ora di Mazzini che arriva in via della Maddalena quando il patriota è già morto. L’idea di Bertani si basa essenzialmente su motivazioni politiche e, proprio per questo, fa proseliti.
Ma non tutti sono d’accordo. Fra gli amici più intimi di Mazzini, tra cui la già citata Sara Nathan, l’idea di conservare il corpo dell’esule genovese è considerata assurda, offensiva, una profanazione, oltretutto, in contrasto con le volontà di Mazzini che più volte aveva manifestato, sostenendo come «tutte le commemorazioni, trasporti di cenere, statue» gli intristissero l’anima.
Nella ridda delle voci contrarie si inserisce anche Angelo Usiglio. Mazziniano della prima ora, da anni in esilio a Londra, in una lettera al fratello Emilio, Usiglio implora di non andare avanti in un’operazione che ritiene «oscena ed indegna di un popolo che si rispetti.»
Ma le accorate sollecitazioni provenienti dalla cerchia degli amici più intimi di Mazzini non trovano il meritato approdo. Quella illustre salma verrà imbalsamata e a farlo sarà un vero e proprio esperto in materia, Paolo Gorini.
Paolo Gorini, storia di un imbalsamatore
L’impresa di imbalsamare il corpo di Giuseppe Mazzini spetta al professor Paolo Gorini, repubblicano, massone e amico di Agostino Bertani. La scelta di affidargli quel compito è strettamente connessa all’attività che quel fisico, con un passato da docente liceale, porta avanti da alcuni anni e consistente nella pietrificazione dei cadaveri, qualcosa di più della semplice, comune imbalsamazione.
La storia di Gorini e degli esperimenti che tiene all’interno dell’ex convento di San Niccolò, alle porte di Lodi, dove si ritira a partire dal 1842, sembrano essere uscite dalle pagine di un romanzo gotico, genere letterario, oltretutto, piuttosto in voga all’epoca. Nei locali monastici, dove un tempo si salmodiavano preghiere alla tenue luce delle candele, Gorini porta convintamente avanti i suoi esperimenti, il cui confine fra scienza e macabro appare sottilissimo.
Sul risultato di quegli esperimenti i giudizi sono contrastanti. Per i critici la tecnica portata a termine da Gorini non ha prodotto risultati incoraggianti, trattandosi di una pratica più legata alla necrologia che alla scienza vera e propria.
Di tono diametralmente opposto il giudizio di Gorini. Per il fisico lodigiano la pietrificazione è un successo senza precedenti, una pietra miliare nella storia della scienza. Lui stesso, nel 1864, in una relazione ufficiale che invia all’università di Torino, elenca i diversi vantaggi della sua rivoluzionaria pratica.
Per Gorini la pietrificazione avrebbe portato benefici ai musei di storia naturale, capaci di esporre tranquillamente animali di ogni tipo; agli studenti di anatomia, a cui sarebbero stato possibile studiare su veri cadaveri umani; ai parenti del caro estinto, il cui dolore sarebbe stato mitigato dal poter vedere le fattezze incorrotte del defunto e, addirittura, agli impellicciatori e ai tornitori, che avrebbero tratto giovamento per le loro attività dall’indurimento delle sostanze animali.
La pietrificazione della salma di Giuseppe Mazzini
Paolo Gorini arriva a Pisa solo il 12 marzo, due giorni dopo il decesso di Mazzini, avvisato via telegramma da Agostino Bertani. Appena arrivato al capezzale di Mazzini, Gorini si rende immediatamente conto di come lo stato di conservazione della salma sia piuttosto critico.
Ecco come lui stesso, nella sua autobiografia, ricorda quel primo impatto con quel cadavere eccellente:
Gorini nonostante ciò, non demorde, mettendosi subito al lavoro. Coadiuvato dallo stesso Bertani, come ebbe a scrivere Giorgio Asproni, passa «la notte ad injettare col liquidi di sua invenzione il cadavere di Giuseppe Mazzini.»
L’impegno profuso dall’ex insegnate di matematica e fisica è assoluto e mira all’obiettivo di completare l’opera di pietrificazione di quell’illustre corpo non per il giorno dei funerali ma, come nei desiderata di Bertani, per il primo anniversario della morte di Mazzini: il 10 marzo 1873.
Prima di quella data c’è, tuttavia, un funerale da organizzare. Le esequie si svolgono il 17 marzo 1872 alla presenza di migliaia di persone, una partecipazione nei numeri e nell’affetto che fa il paio con quella mostrata nei giorni precedenti dalla gente comune nelle diverse stazioni ferroviarie dove il treno, partito da Pisa con l’illustre salma a bordo, si era fermato per ricevere un omaggio popolare che neppure i più ottimisti mazziniani immaginavano così intenso.
Terminate le esequie, dove pesa la totale assenza delle istituzioni per le quali Mazzini anche da morto rappresenta una minaccia, Gorini torna a occuparsi di quel cadavere eccellente con l’obiettivo dell’ostentazione pubblica da tenersi il 10 marzo 1873.
L’inventore della pietrificazione si mette subito all’opera, stavolta il suo laboratorio non è l’ex monastero di Lodi, neppure l’abitazione dei Rosselli ma direttamente il cimitero di Staglieno, dove riposano le spoglie di Mazzini.
L’ex docente liceale non solo è sicuro di rispettare i tempi indicatigli da Bertani ma è anche certo del risultato. Questa volta non ci saranno imprevisti, tutto, procederà senza intoppi.
I giorni ma soprattutto i mesi trascorrono rapidi, Gorini lavora indefessamente, nonostante l’età avanzata, un fattore che preoccupa lo stesso Bertani, per il quale il vecchio scienziato potrebbe, alla fine, non farcela. Poi quel 10 marzo, fatalmente arriva.
L’ostentazione del corpo di Mazzini
Genova, cimitero di Staglieno, 10 marzo 1873. Tutto è pronto. Ecco la descrizione del feretro di Mazzini, mostrato per la prima volta al pubblico dal giorno della morte, fatta dall’ex garibaldino Cesare Abba:
Al netto del racconto di Abba, in cui una certa retorica tipica dell’epoca non manca, la sensazione è che l’opera di Gorini sia al fine riuscita, che la salma di Mazzini abbia davvero superato indenne l’azione del tempo. Ma fu vera gloria? Probabilmente no.
Questo il resoconto dello storico Luzzatto che alla vicenda della salma di Mazzini ha dedicato un articolato studio dal titolo “La mummia della repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato”:
E in effetti già un anno dopo, nel marzo del 1874, lo stato di conservazione del corpo di Mazzini risulta decisamente pessimo, stando, almeno, ai resoconti di quei pochi che vedono la salma prima che sia tumulata definitivamente nella tomba appena terminata all’interno del cimitero monumentale di Staglieno, la cui realizzazione certifica, in modo netto, il sostanziale fallimento della precedente opera di pietrificazione.
Il convincimento di Paolo Gorini che aveva ottimisticamente affermato come il corpo di Mazzini si sarebbe conservato non solo diversi anni ma, addirittura, per «un tempo indefinito» sembra miseramente fallito.
Con la tumulazione dei resti di uno dei padri più autorevoli del nostro Risorgimento la questione relativa alla conservazione del cadavere si chiude ma non per sempre.
Il 19 giugno 1946 l’urna contenente i resti di Mazzini viene ancora una volta aperta. In quell’Italia da pochi giorni repubblicana, all’indomani dell’esito referendario, quell’atto viene considerato necessario, la legittimazione morale e storica per quel nascente Stato.
E Paolo Gorini? L’imbalsamatore di Mazzini muore il 2 febbraio 1881 ma fa in tempo a pietrificare una nuova salma, quella del romanziere Giuseppe Rovani, questa volta sembra con miglior successo, scrivere un libro sull’esperienza legata al corpo di Mazzini e farsi promotore della cremazione.
Per Gorini si tratta di una pratica civile, financo necessaria, specie in un Paese dove manca sempre più spazio per i cimiteri. Si compiace talmente tanto dell’opportunità della cremazione, posizione singolare per chi si era alacremente impegnato, con discutibili risultati, a rendere immortali le spoglie di Giuseppe Mazzini, da inventare un suo personalissimo forno crematorio, adottato in seguito da diversi cimiteri italiani e stranieri.
Contro la pratica dell’inumazione Paolo Gorini, a cui nel 1981 nella sua Lodi è stato dedicato un museo, ebbe a scrivere: