Il dizionario alla parola traditore recita: «Chi vien meno a un impegno solennemente assunto, con un’accentuata sfumatura di biasimo.»
Alla figura del traditore, inteso come un professionista, Domenico Vecchioni, storico, saggista, diplomatico di lungo corso, con incarichi prestigiosi in varie parti del mondo, ha dedicato “I grandi tradimenti della storia” un eccellente saggio nel quale ripercorre la vicenda di alcuni storici emuli di Giuda che fecero del tradimento una ragione della loro esistenza, un segno distintivo, una vera e propria arte dal sottile, insondabile fascino.
Dal traditore per antonomasia, Giuda Iscariota, il cui nome proprio è divenuto un termine comune, tanto da indicare una spia, rappresentando, al contempo, uno dei peggiori insulti da rivolgere a qualcuno, ad altri ventitré traditori più o meno celebri che attraverso la loro azione sleale hanno lasciato un’impronta poco nobile ma sicuramente incisiva nella storia.
Nella lunga teoria di traditori eccellenti che Vecchioni mette in scena, distillando storie e scenari, colpe evidenti o possibili beatificazioni, troviamo Jean Baptiste Bernadotte, prototipo del voltagabbana, capace di passare dall’essere uno dei più fidati collaboratori di Napoleone a suo acerrimo nemico.
Bernadotte fu uno dei diciotto marescialli di Napoleone, grado che il generale còrso gli conferì poco dopo essersi proclamato imperatore. Ma al principe di Pontecorvo, titolo ottenuto sul campo all’indomani della vittoriosa battaglia di Austerlitz e che divenne, in seguito, Carlo XVI di Svezia, Napoleone riservò parole non proprio amorevoli nel suo Memoriale di Sant’Elena, vergato nei suoi ultimi giorni terreni sperso in mezzo all’oceano:
«Bernadotte è stato la serpe allevata nel nostro seno. Dovevamo sorvegliarlo e temerlo. Successivamente fu una delle nostre disgrazie.»
Accanto a Giuda, a Bernadotte, trovano un poco onorevole posto anche figure come Pietro Badoglio, Vidkun Quisling, Claus Von Stauffenberg, colui che provò a uccidere Hitler, Pierre Laval, un francese che tifava per la Germania ai tempi della Seconda guerra mondiale ma, soprattutto, Charles Maurice de Talleyrand-Périgord che fece del tradimento un’arte, una forma di sublimazione.
Proprio il capitolo dedicato a Talleyrand è tra i più significativi del saggio di Domenico Vecchioni pubblicato da Rusconi. Trasformista per eccellenza, Talleyrand fu capace di mettere la sua abilità camaleontica a disposizione di tutti coloro a cui poteva tornare straordinariamente utile.
Luigi XVI, i rivoluzionari ma anche Napoleone e poi Luigi XVIII che la Restaurazione aveva reinsediato sul trono francese, senza dimenticare Pio VI, il papa che nel 1788 lo aveva nominato vescovo di Santa Romana Chiesa, questi coloro che Talleyrand servì. Incarichi, come ricorda Vecchioni, assolti, magari venendo più volte meno a un impegno preso ma privilegiando sempre gli interessi della Francia, della nazione che Talleyrand, indipendentemente dal potente di turno, cercò di assolvere al meglio.
Non solo nomi noti, tuttavia.
Nel novero dei grandi traditori della storia, trovano spazio anche soggetti meno conosciuti, come nel caso dei coniugi Rosenberg, finiti sulla sedia elettrica nell’America dei primi anni Sessanta, quando i sentimenti antisovietici erano assolutamente prevalenti. Per Julius ed Ethel Rosenberg furono fatali le accuse, mai del tutto totalmente provate, di aver passato al nemico russo i piani per l’atomica.
Un libro che spalanca le porte su un’attività, quella del tradimento, certamente poco nobile, talmente esecrabile che Dante non esitò a collocare i traditori nell’ultimo cerchio dell’Inferno. Ma pur detestabile, odiosa e odiata dai più il tradimento e i traditori hanno scritto capitoli fondamentali della storia, al punto da domandarci quale sarebbe stato il corso degli eventi se sulla strada di certi uomini illustri non si fossero palesati dei traditori, come per Giulio Cesare, assassinato da un gruppo di traditori, capitanati da Bruto, colui che, parafrasando Dante, si storce ma non fa motto.
A proposito di Bruto, figura storica di notevole rilevanza con cui si chiude “I grandi tradimenti della storia”, Domenico Vecchioni ha scritto:
«Bruto voleva difendere la Repubblica, ma con quel gesto criminale, frutto del suo tradimento sul piano personale e politico, ne ha inconsapevolmente decretato la fine.»