Il nome di Ada Lovelace ad alcuni dirà poco, forse nulla ma a questa donna nata nell’Ottocento, figlia di un celeberrimo poeta, le nostre generazioni, quelle che dipendono dall’informatica, devono tanto, per certi aspetti tutto.
Questa è la storia di Ada Lovelace, la donna che scrisse un algoritmo che sarà fondamentale per la nascita dei computer, dell’era informatica.
L’infanzia difficile di Ada Lovelace fra un padre famoso e una madre soffocante
Augusta Ada Byron, il cognome Lovelace sarà un’acquisizione successiva quando lei e il marito Lord William King assumeranno il titolo di conti Lovelace, nasce a Londra, il 10 dicembre 1815.
Sono gli ultimi giorni di un anno che non si dimenticherà facilmente, che ha visto tramontare l’astro di Napoleone, costretto dal Congresso di Vienna ad accettare l’effimero regno sull’isola dell’Elba e rifulgere quello di Metternich, che di quel congresso fu l’autentico mattatore.
Augusta, che in famiglia chiamano solo Ada, non ha proprio un padre qualsiasi. È figlia, infatti, di George Gordon Byron, più noto, semplicemente, come Lord Byron, uno dei più grandi poeti dell’Ottocento. Artista di incommensurabile talento ma al tempo stesso, come ha scritto Mauro Mercatanti, «profondamente insofferente verso le convenzioni sociali e le logiche stesse del rango nobiliare, a cui apparteneva».
Byron ha un carattere irrequieto che solo nella meraviglia della poesia trova quiete, asperità caratteriali di cui egli stesso è consapevole, non senza una punta di narcisismo:
Quell’allergia ai dettami sociali, quel suo animo inquieto sono alla base della decisione del poeta di abbandonare moglie e figlia il 15 gennaio del 1816, a poco meno di un anno dalle nozze e, soprattutto, a un mese dalla nascita di Ada.
D’altra parte quel matrimonio è scritto che non possa durare, tanto differenti risultano essere i due coniugi.
Lui nobile e famoso, seppur spiantato, dominato da un’esistenza da dandy che lo porta a morire a soli trentasei anni in Grecia, a Missolungi, il 19 aprile 1824, forse a seguito di febbri reumatiche, animato dalla lotta per l’indipendenza che i greci da tempo intrattengono con l’impero ottomano.
Lei, Anne Isabella Milbanke, donna razionale e religiosissima, ai limiti del bigottismo ma anche molto colta, con un’innata propensione per le scienze, specie per la matematica, tanto che Byron la ribattezza la regina dei parallelogrammi. Un’inclinazione che Annabella, come la chiamano in famiglia, asseconda con tutta sé stessa, sostenuta, per sua fortuna, da due genitori che credono nelle sue qualità e che non badano a spese pur di farla studiare. Quello stesso carattere e quella passione per la scienza e in particolare per la matematica che erediterà, di lì a poco, anche la piccola Ada.
Ada Lovelace tra l’amore per la matematica e quello mai sopito per la poesia
L’infanzia di Ada è segnata, fin da subito, dall’assenza del padre e dalla presenza soffocante della madre. Lady Milbanke, infatti, profondamente scossa dalla improvvisa fuga del marito, decide che quell’uomo non deve più avere una parte nella vita della figlia.
Nulla di quell’uomo deve turbare Ada, specie la poesia, una forma d’arte che la signora Milbanke ritiene pericolosa, foriera di instabilità, financo di follia. Ecco, quindi, che Ada subisce una vera e propria forma di privazione di tutto ciò che possa, anche indirettamente, ricordarle il padre.
Non solo non può vederlo ma non le è permesso, neppure, di possedere un suo ritratto o una sua opera. Ma Lady Milbanke non si limita solo a questo. La donna, infatti, fin dalla più tenera età della figlia, l’avvicina, anche con l’aiuto di diversi precettori, allo studio solo delle materie scientifiche, una scelta rigorosa, finalizzata a tenere lontana la figlia dalla poesia, dalla letteratura, deviazioni ritenute quanto mai pericolose, specie per una giovane ragazza. Insomma lo stigma paterno non dovrà infettare la giovane Ada.
La trama tessuta da quella madre soffocante non riesce appieno, perché Ada, non solo coltiva in gran segreto la passione per la poesia ma, come ha scritto la storica Barbara Biscotti, affronta lo stesso studio della matematica in un modo tutto suo, «in una dimensione poetica e onirica, frutto di una costante struggente nostalgia per quel padre assente e geniale, ardimentoso quanto inaffidabile, che pure le dedicò, dalla distanza che li separava, versi sentiti.»
Tra i vari tutori che seguono Ada Lovelace uno, in particolare, Augustus De Morgan, fa davvero la differenza. Matematico di livello De Morgan intuisce, più di qualsiasi altro precettore, il talento della ragazza, tanto da avvicinarla, cosa rarissima per una donna a quell’epoca, allo studio dell’algebra, della logica e, soprattutto, dell’analisi.
Ada studia con applicazione e successo, nonostante le difficoltà legate a una salute che si mostra cagionevole fin dalla nascita. Soffre di ripetuti e terribili attacchi di cefalee ma sono nulla rispetto a quello che l’aspetta di lì a poco.
A quattordici anni, infatti, contrae una forma molto violenta di morbillo che la costringe a stare per molti mesi a letto, a causa di una paralisi che la colpisce agli arti inferiori.
Ma Ada non si deprime e trasforma quella degenza forzata in un’occasione per apprendere più e meglio, trasformando lo studio in una insolita forma di libertà e di energica reazione.
Se Augustus De Morgan incide sugli studi di Ada, Mary Somerville, invece, influenzerà l’animo di quella che passerà alla storia come “l’incantatrice dei numeri”.
Mary è una donna coltissima, patita per le scienze che, da autodidatta, studia avidamente, mostrando un talento innato che sconvolge l’ingessata società inglese. Ma non è solo una donna colta e versatile. Nei ritagli di una vita intensissima e lunghissima, la Somerville muore infatti a 92 anni, trova addirittura il tempo per scrivere un libro di ricette, ma è anche e soprattutto, una donna libera, come poche altre.
Lady Somerville vive lo studio anche come un mezzo per emanciparsi, per affrancarsi da un mondo maschilista e opprimente e sarà proprio questa componente ad affascinare, oltremodo, la giovane Ada che, come ha scritto Maria Rosa Pantè, in un saggio sulle donne scienziate, «sognava di volare via, dalla madre e forse anche dalla matematica.»
Tuttavia, la sfrontatezza della Somerville preoccupa Lady Milbanke che, temendo una nefasta influenza sulla figlia, decide di allontanare la donna, sperando, in tal modo, di soffocare il desiderio di libertà di Ada.
Charles Babbage e la macchina analitica
Nella vita di Ada Lovelace la figura, tuttavia, che inciderà di più, è quella dello scienziato Charles Babbage.
L’incontro fra i due avviene per caso. Durante un ricevimento, a cui prende parte il meglio della società londinese, Babbage fa mostra della sua invenzione, la macchina differenziale, di cui Ada comprende fin da subito le enormi potenzialità.
Così Mauro Marcatanti su quella giornata che segnerà la vita della Lovelace:
Quella macchina, tuttavia, nonostante l’entusiasmo della Lovelace, presenta non poche criticità, riscuotendo, oltretutto, nel paludato mondo accademico, scarsi consensi.
Babbage non si deprime e si mette nuovamente all’opera, realizzando la macchina analitica e sarà proprio questa invenzione a stimolare l’ingegno di Ada Lovelace.
Anche questa nuova macchina, tuttavia, non incassa, specie in Inghilterra, i consensi sperati.
Babbage, tuttavia, non demorde e inizia a girare per l’Europa, mostrando ovunque la sua amata creatura, certo di ottenere un interesse maggiore rispetto a quello manifestato dai suoi connazionali.
Nel corso di uno di questi viaggi la macchina analitica, di fatto la progenitrice della moderna calcolatrice, viene visionata da un giovane ingegnere italiano, Luigi Menabrea che, in seguito, farà fortuna anche in ambito politico, arrivando a ricoprire la carica di Presidente del consiglio.
A Menabrea l’ingegnosa invenzione di Babbage piace, tanto da tesserne le lodi in un articolo scritto in francese. Il saggio dell’ingegnere italiano è un ottimo biglietto da visita per la macchina di Babbage, tanto che lo scienziato inglese decide di affidare la traduzione di quel testo proprio ad Ada Lovelace, che stima all’inverosimile e che affettuosamente ha ribattezzato “l’incantatrice dei numeri”.
Ma la figlia di Lord Byron non si limita a una semplice, pedissequa traduzione. Affascinata da quella macchina e intuendone della potenzialità che sono sfuggite non solo a Menabrea, ma anche allo stesso Babbage, decide di andare ben oltre a una letterale traduzione.
Il lavoro che porta a compimento Ada Lovelace è un vero e proprio saggio scientifico in cui le parti più rilevanti sono le moltissime note a margine della traduzione stessa.
Il saggio (che Ada firma con l’acronimo A.L.L per evitare sia la morbosità derivante dall’essere figlia di Lord Byron ma anche tacitare l’inevitabile pregiudizio negativo sull’opera da parte della comunità scientifica in quanto scritta da una donna) è l’apripista a uno studio capillare dell’invenzione di Babbage che porta Ada a scandagliare altri numerosi aspetti di quella macchina rimasti perlopiù ignoti.
In una delle note Ada scrive che la macchina analitica «tesse modelli algebrici esattamente come il telaio Jacquard (uno dei primi telai della storia N.d.A.) tesse fiori e foglie.»
Sempre in queste note, a conferma di come solo lei abbia scovato nelle pieghe di quell’invenzione potenzialità inespresse, ecco cosa ancora scrive:
«Consentendo al meccanismo di combinare tra loro simboli generali in successioni di varietà ed estensione illimitate, viene stabilito un legame unificante tra le operazioni della materia e i processi della branca più astratta della scienza matematica. Viene sviluppato un linguaggio nuovo, vasto e potente per gli usi futuri dell’analisi, in cui esprimere le sue verità, sicché possono avere applicazione pratica più rapida e precisa per i fini dell’umanità di quanto non abbiano permesso i mezzi finora in nostro possesso.»
Ada Lovelace
Questa traduzione, lunga ben tre volte l’originale di Menabrea e pubblicata nel 1842, quando Ada ha ventisette anni, è, una vera e propria profezia, dove si sottolinea che se la prima invenzione di Babbage funziona solo con i numeri, la nuova macchina analitica, invece, è in grado di produrre tabelle e tabulati, in grado di elaborare non solo qualsiasi funzione ma anche di processare vere e proprie informazioni.
Come ricorda Mauro Mercatanti nella celebre Nota G la Lovelace spiega «ai suoi lettori come la macchina analitica sarebbe stata in grado, tra le altre cose, di generare numeri di Bernouilli. […] Erano calcoli estremamente complicati per la mente umana e Ada decise di creare un algoritmo che potesse essere letto, compreso e tradotto in pratica dalla macchina analitica per generare questi numeri con facilità, velocemente e senza errori.»
Il tributo della scienza ad Ada Lovelace
Quell’algoritmo, la cui creazione richiese tempo e notevoli sforzi fu geniale, una sorta di vero e proprio programma informatico ante litteram.
Ada Lovelace non ebbe alcun riconoscimento in vita per quell’algoritmo. Morì alcuni anni dopo, all’età di trentasei anni, gli stessi di quel padre che non aveva mai conosciuto ma che nel più intimo della sua anima era sempre stato accanto a lei.
In punto di morte, devastata da sofferenze indicibili, dolorosa appendice di un cancro all’utero che l’aveva letteralmente dilaniata, Ada chiese alla madre, accanto a lei in quell’ultimo anelito di esistenza, di poter essere seppellita accanto al padre.
Lady Milbanke, che per tutta la sua vita aveva fatto di tutto perché sua figlia non conoscesse suo padre, acconsentì a quell’ultima richiesta. Ada Lovelace muore il 27 novembre 1852.
Per più di un secolo il mondo scientifico si dimenticò di lei e del suo profetico algoritmo. Ada pagò, innanzitutto, il suo essere donna, il suo discettare delle virtù del magnete ma di non sapere il prezzo del burro, come cinicamente scrisse Nicolas Witkowski nel suo bellissimo Troppo belle per il Nobel.
Solo nel 1979 Ada Lovelace ottenne quella fama, mai cercata oltretutto in vita, che avrebbe assolutamente meritato. Jean Ichbiah, per iniziativa del Dipartimento della Difesa statunitense, decise di chiamare un nuovo linguaggio di programmazione, invece che con l’iniziale e impalpabile DOD-1, con il nome ADA, in onore di quella ragazza che nel 1842 immaginò letteralmente il computer.
Si trattò di un tributo decisamente postumo con cui, però, la comunità scientifica riconobbe il valore di quella sensazionale scoperta e il ruolo che Ada Lovelace ebbe nella scienza a proposito della quale aveva detto:
«La religione per me è scienza e la scienza è religione. In questa semplice e profonda verità si cela il segreto della mia intensa devozione nel leggere e investigare il lavoro naturale di Dio.»
Di lei, invece, quel padre che Ada non aveva mai conosciuto ma sempre desiderato, poeticamente scrisse:
È la tua faccia come (quella) di tua madre, o mia bella bambina!
Ada! unica figlia della mia casa e (del mio) cuore?
Quando per ultima volta vidi i tuoi giovani occhi blu sorridevano,
George Gordon Byron
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