Franca Viola, siciliana di Alcamo, più di cinquant’anni fa decise di opporsi a un matrimonio che non voleva, andando contro leggi e tradizioni consolidate, rifiutando, cosa impensabile per l’epoca, di sposare il suo rapitore ma, soprattutto, colui che l’aveva violentata.
Con quel suo coraggiosissimo no quella timida ragazza divenne, in pochissimo tempo, una donna matura, piegata ma non vinta dalla vita che, come ebbe a dire molti anni dopo, non avrebbe mai immaginato potesse essere, nonostante tutto, così bella.
Questa è la storia di Franca Viola e di un no che cambiò per sempre la storia delle donne italiane.
Franca Viola: quel fatale 26 dicembre del 1965, cronaca di una violenza
Alcamo 26 dicembre, ore 9.00. Mentre la cittadina del trapanese pigramente ozieggia, dopo i festeggiamenti natalizi, in casa Viola accade l’inverosimile.
Tredici ragazzi fanno irruzione nell’abitazione dei Viola, una modesta famiglia di contadini. In casa ci sono la signora Vita, il marito Bernardo è fuori, e i suoi due figli, Mariano di otto anni e Franca di diciassette, ed è proprio lei l’obiettivo di quella masnada guidata da Filippo Melodia.
In pochi attimi quei ragazzi, dopo aver praticamente devastato l’appartamento e gravemente malmenato la mamma, rapiscono Franca e con lei il piccolo Mariano, coraggiosamente avvinghiato alle gambe della sorella, nel disperato tentativo di difenderla.
I rapitori, dopo aver lasciato l’abitazione dei Viola, raggiungono un casolare abbandonato dove nascondono la ragazza con il fratellino, ma si tratta di una soluzione temporanea.
Due giorni dopo Franca è trasferita nell’abitazione della sorella di Melodia, mentre il piccolo Mariano viene rilasciato.
In quella casa, mentre fuori fervono i preparativi per l’anno nuovo, Franca vi rimane per più di una settimana, fino a quando, il 2 gennaio 1966*, viene liberata dalla polizia.
Sono giorni terribili, un tempo infinito, scandito da violenze di ogni tipo, un inferno difficile da raccontare.
Filippo Melodia, il violentatore di Franca Viola
A perpetrare la violenza carnale è Filippo Melodia; è lui a marchiare con il fuoco dello stupro il corpo di Franca Viola, vittima di un disegno prestabilito, ordito per ottenere il matrimonio riparatore, contrapartita per il passato legame conclusosi precocemente.
Due anni prima, infatti, Franca e Filippo sono stati fidanzati ma quel giovane non è quel che sembra. A far naufragare quella relazione è l’arresto di Filippo Melodia per furto e, soprattutto, l’appartenenza del ragazzo a una banda mafiosa, quella vicina al boss locale Vincenzo Rimi, di cui è nipote.
Rimi nell’organigramma mafioso non è proprio un personaggio di secondo piano, se è vero che Pino Arlacchi, già membro della Commissione Antimafia, nonché presidente onorario della Fondazione Giovanni Falcone, lo definisce «il leader morale di tutta Cosa Nostra siciliana degli anni Cinquanta e Sessanta.»
Trascorrono i mesi, la vicenda sembra immergersi nei fondali dell’oblio, anche perché, nel frattempo, Filippo, dopo la rottura del fidanzamento con Franca Viola, è emigrato in Germania. Ma un mafioso non dimentica, sa aspettare, preparando, pazientemente, la più atroce delle vendette.
Rientrato dalla Germania e scontata una breve reclusione, Filippo prova prima a riallacciare i contatti con la sua ex fidanzata, poi, quando comprende che né lei, né tantomeno la sua famiglia, sono d’accordo, passa al contrattacco, deciso a far pagare ai Viola l’inaccettabile onta per quel fidanzamento saltato che lo ha leso nell’onore di maschio, un diritto inalienabile nella Sicilia patriarcale di quegli anni.
Le intimidazioni che la famiglia Viola subisce sono diverse e tese a convincere il riottoso Bernardo a desistere, concedendo la mano della figlia.
La vigna dei Viola viene distrutta, così come il casolare, dato alle fiamme. Non si salva, neppure, il campo di pomodori, su cui viene fatto pascolare un gregge di pecore con il risultato di perdere totalmente il raccolto di un anno.
Ma Bernardo non demorde, neppure davanti a una pistola con cui viene minacciato.
La liberazione di Franca e il suo no al matrimonio riparatore
Il 2 gennaio 1966, sette giorni prima del suo diciottesimo compleanno, Franca Viola viene liberata dalla polizia. Filippo Melodia, al pari dei suoi complici, finisce in manette; l’incubo, tuttavia, per la ragazza non è ancora terminato.
Per il suo violentatore, quel ragazzo borioso che ama mostrarsi alla guida della sua Giulietta bianca per le vie di Alcamo, nipote del boss mafioso che in molti ossequiano, c’è ancora una speranza di evitare il processo e, soprattutto, la condanna ed è una soluzione del tutto legale.
La scappatoia alla prigione sta tutta in un articolo del codice penale, il 544, che prevede per alcuni delitti, tra cui la violenza la carnale, l’estinzione della pena se l’autore del reato, come recita espressamente l’articolo, contrae il matrimonio con la parte offesa.
Si tratta, in buona sostanza, del famoso matrimonio riparatore, una pratica ancora diffusa nella Sicilia di quegli anni che, di fatto, costringe decine di ragazze ad accettare le nozze con i loro aguzzini pur di non trascorrere il resto dei loro giorni da “sbrigugnate” (svergognate).
Ma Franca di sposare il suo violentatore non ci pensa proprio e poco le importa cosa possa pensare la gente, lei è forte, determinata, come lo fu, secoli prima, un’altra donna: Artemisia Gentileschi.
Per questo, quando gli emissari del Melodia propongono alla famiglia Viola la paciata, ovvero la riappacificazione, preludio al matrimonio riparatore, il No è netto, senza appello, un monosillabo ma dal potere enorme.
Franca, per fortuna, non è sola.
La sua scelta temeraria è sostenuta da tutta la famiglia, specie da suo papà Bernardo che, ironia della sorte, morirà diciotto anni dopo esatti il rapimento della figlia.
Così la sociologa Chiara Saraceno su quel coraggioso no:
Il processo a Filippo Melodia e l’assurda difesa dell’imputato
Il no alla paciata e all’oltraggioso matrimonio riparatore, aprono per Melodia e i suoi complici le porte del tribunale. Sono passati quasi dodici mesi dal rapimento, quando a Trapani si tiene la prima udienza del processo. Da una parte Franca Viola, amorevolmente protetta dalla sua famiglia; dall’altra Filippo Melodia e i suoi complici.
A finire alla sbarra non sono solo dei criminali ma un intero sistema; la posta in gioco, come scriverà Indro Montanelli che segue il processo per il “Corriere della Sera” «è alta e va al di là del caso e dei protagonisti. Franca Viola e suo padre non hanno detto no soltanto a Filippo Melodia. Hanno detto di no a un sistema di rapporti basati sulla sopraffazione della femmina…hanno detto di no a tutti tabù e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società.»
La linea promossa dai legali di Melodia è chiara e mira, fin da subito, a ridimensionare la violenza, a dimostrare che «la ragazza ci stava», come arringa l’avvocato, e che, prima del rapimento, aveva avuto già rapporti con il Melodia. Insomma, il Melodia per la difesa, tutt’al più, può essere responsabile del rapimento, messo in atto, ben inteso, solo per poter sposare la riottosa ragazza. Ben altri, invece, sono i capi d’imputazione ravvisati dall’accusa nei confronti di Filippo Melodia per i quali, infatti, chiede 22 anni di carcere.
Ma le richieste del pubblico ministero non sono completamente accolte. La sentenza di prima grado, emessa dopo sette ore di camera di consiglio, condanna Filippo Melodia a 11 anni per violenza carnale, violenza privata, lesioni, minacce e rapimento a scopo di matrimonio.
Alla base della tenuità della pena la giuria, come ravvisa il giornalista Silvano Villani, ha tenuto conto, incredibile a dirsi, delle usanze e delle tradizioni. Quella condanna, già esigua, è ulteriormente mitigata in appello e in cassazione, passando dagli iniziali 11 a 10 anni.
Filippo Melodia muore il 13 aprile 1978 a Modena, dove sta scontando i due anni di soggiorno obbligato previsti dalla sentenza. A ucciderlo, a colpi di lupara, sono dei sicari rimasti ignoti.
Franca, invece, il 4 dicembre 1968 sposa Giuseppe Ruisi, con buona pace del parroco di Alcamo che, nel pieno della vicenda processuale, aveva pronosticato per la ragazza, a causa del clamore mediatico generatosi, un inevitabile futuro da zitella.
L’abolizione del matrimonio riparatore e del delitto d’onore
L’effetto mediatico del processo, il roboante no al matrimonio riparatore non determinano, tuttavia, almeno nell’immediato, effetti sulla giustizia italiana, visto che il vergognoso articolo 544 rimane ancora in auge.
Devono trascorrere ancora molti anni perché l’obbrobrio del matrimonio riparatore, baluardo di una legislazione marcatamente maschilista, cessi di esistere.
Il 5 settembre 1981, un anno funestato dal dramma di Vermicino, dove perde la vita il piccolo Alfredo Rampi in un pozzo in cui, inevitabilmente, cade tutta l’Italia, viene varata la legge 442, i cui esiti su alcuni abomini del codice penale italiano sono, per fortuna, evidenti.
Quella legge non solo abroga il famigerato articolo 544 e il 592 (l’abbandono del neonato per onore) ma anche l’abominio dell’articolo 587, il famoso delitto d’onore.
Si tratta dell’istituto giuridico che stabilisce per «chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia» una pena, da un minimo di tre anni a un massimo di sette, poca cosa rispetto alle normali pene, da un minimo di ventuno anni fino al massimo dell’ergastolo, previste per l’omicidio.
Relatrice di quella rivoluzionaria legge è la messinese Angela Maria Bottari per la quale quegli articoli del codice penale italiano, il cui impianto è quello fortemente voluto dal giurista Alfredo Rocco nel ventennio fascista, sono inaccettabili, trattando le donne alla pari di oggetti e non di esseri umani.
L’approvazione della legge 442 è il risultato di un lungo e complesso percorso che ha nella sentenza della Corte costituzionale del 1968, con cui è cancellato l’articolo di legge per cui si punisce solo l’adulterio femminile, un primo, significativo inizio.
* su alcune fonti la data della liberazione di Franca Viola ad opera della polizia sarebbe quella del 6 gennaio.