Il nome di Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia, evoca da sempre sentimenti contrastanti, per la sua storia, per la sua personalità, per le scelte fatte e per quelle subite.
Per Thomas Jefferson, 3° presidente degli Stati Uniti, senza di lei, addirittura, non ci sarebbe stata la Rivoluzione francese, una responsabilità enorme, decisamente non condivisibile ma che, tuttavia, pone l’accento sulla centralità di Maria Antonietta nella storia della Francia e non solo.
Di lei è stato scritto e detto tutto e il suo contrario. Per la libellistica rivoluzionaria fu una sorta di novella Messalina, emblema di scelleratezza che utilizzò la lussuria per piegare al suo volere il potere. Secondo una narrazione formatasi durante il periodo della Restaurazione, Maria Antonietta fu, invece, un modello cristiano, una regina martire, una vera e propria santa.
Al netto di queste dicotomiche riletture, figlie del loro tempo, sospese tra l’invettiva e l’agiografia, rimane soprattutto la donna Maria Antonietta che a distanza di secoli rimane ancora innegabilmente charmant, capace di attraversare la storia, vivendola, nonostante tutto, da protagonista.
Maria Antonietta: da Vienna a Parigi, il destino di un’imperatrice
Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena nasce a Vienna il 2 novembre 1755, penultima genita di sedici figli dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa.
L’infanzia della giovane arciduchessa, al pari di quella dei suoi tanti fratelli e sorelle, scorre lieta, facilitata da un protocollo di corte meno rigido, specie se paragonato a quelli di altre dinastie europee.
La vita dei piccoli arciduchi, come scritto dal professore Danovi in una monografia dedicata a Maria Antonietta, «si dipana tra la residenza ufficiale nella capitale (il maestoso palazzo della Hofburg), l’imponente castello di Schönbrunn, dove ciascuno dei figli di Maria Teresa gode di un appartamento privato, e il più riservato e recente (fatto erigere dall’imperatrice nel 1745) maniero di Laxemburg, dove la campagna e la natura regnano incontaminate.»
Ma si tratta di una spensieratezza fugace, di un fiore che è destinato ad appassire rapidamente perché per i giovani rampolli asburgici il futuro è già alle porte e ha i contorni di complessi disegni dinastici, algidi prodotti non dell’amore ma della spietata logica alla base delle relazioni internazionali, la cui riuscita, non di rado, passa ancora attraverso i matrimoni, i migliori legami politici per cementificare multiformi alleanze.
Tutte le figlie di Maria Teresa, almeno quelle non morte prematuramente, sono destinate a unirsi con i rampolli di altre casate europee, un destino scritto a cui nessuno, anche nella liberale corte viennese può esimersi.
Lo sa bene Maria Carolina che va in sposa al re di Napoli Ferdinando, anche se inizialmente non è lei la prescelta.
Nei disegni di Maria Teresa a essere destinata al re Borbone (che passa alla storia come Ferdinando I re di Napoli, prima e Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, dopo, in virtù del cambio di denominazione del regno italiano incorso all’indomani dei provvedimenti presi dal Congresso di Vienna) è un’altra figlia: Maria Giuseppina.
Ma il destino ci mette lo zampino, rischiando di compromettere il prezioso piano dell’imperatrice austriaca.
Il 15 ottobre 1767 Maria Giuseppina muore di vaiolo ma non sarà certo quell’evento luttuoso a scompaginare i piani orditi a Vienna. Maria Teresa giunge ai ripari proponendo all’augusto scapolo altre due sue figlie: Maria Amalia e Maria Carolina.
A Madrid, dove vengono decisi i destini del regno napoletano, la scelta ricade sulla più giovane e bella Maria Carolina, la prediletta di Maria Teresa, sarà lei a salire sul trono napoletano.
Questo matrimonio di interesse, fa comprendere ancor di più alla giovane Maria Antonietta il ruolo che loro, figli di un grande impero, devono svolgere.
Sono, al netto dell’affetto familiare, delle regali pedine da spostare sulla scacchiera delle relazioni internazionali, merce preziosa da offrire al miglior offerente. Ma quel matrimonio, molto più di quello di altre sorelle, colpisce Maria Antonietta, legatissima alla futura regina di Napoli.
Fra le due si è instaurato un rapporto sincero, affettuoso, delicato. Accanto a Carolina, Maria Antonietta si sente più sicura, più libera, al punto da apparire anche meno timida e arrendevole di come di solito appare. In cuor suo, però, non riesce ad accettare che l’amata sorella maggiore vada in sposa a uno che non ama per il solo senso del dovere.
Ma, parafrasando Enrico di Navarra, l’impero val bene un matrimonio, anche quando il marito, come scrive la stessa Maria Carolina in una lettera, è decisamente ripugnante.
Accasata Maria Carolina, ora è la volta della più piccola Maria Antonietta e anche nel destino della ragazza c’è un Borbone, il nipote del re di Francia Luigi XV, per ora poco più che un ragazzo ma destinato a diventare il nuovo sovrano francese.
L’idea che la penultima genita di Maria Teresa possa andare in sposa al futuro Delfino di Francia inizia a materializzarsi pochi anni dopo la sua nascita. Si racconta che quando la futura regina aveva nove anni, Madame Geoffrin, amica dell’imperatrice Maria Teresa, vedendo Maria Antonietta abbia esclamato: «Mi piacerebbe portarla a Parigi». E a Parigi Maria Antonietta ci andrà, rimanendoci per sempre.
Quell’inziale fumoso progetto di fare di quella bimbetta una regina con il passare degli anni si struttura, assumendo i contorni della concretezza.
Maria Antonietta, sotto il rigido controllo, tra gli altri, dei precettori Aufresne e Sainville, studia il francese ma anche gli usi e costumi del paese su cui regnano i Borbone. Tutto deve essere perfetto per quando l’accordo matrimoniale sarà perfezionato.
Mentre Maria Antonietta festeggia serena i suoi tredici anni, a Parigi, Kaunitz e Choiseul architettano, nel bel mezzo di un articolato trattato franco-austriaco, il matrimonio fra i due rampolli. Agli occhi di quei due diplomatici di lungo corso, la graziosa figlia di Maria Teresa rappresenta la sposa perfetta per il timido e impacciato futuro re di Francia.
A volere quel matrimonio è innanzitutto Maria Teresa, nell’ambito di un processo di consolidamento del patto stipulato con la Francia nel corso della Guerra dei Sette anni, un accordo, in verità, che aveva beneficiato più Vienna che Parigi, dove gli austriaci continuavo ad essere visti con sospetto, con immutata diffidenza.
Il 13 gennaio 1770 viene siglato l’accordo di matrimonio che lega due perfetti sconosciuti, due ragazzi (Luigi ha sedici anni, Maria Antonietta quindici) che hanno imparato a conoscersi attraverso due miniature dipinte per l’occasione.
Se la futura regina di Francia appare agli occhi di tutti come una ragazza «delicata, snella, graziosa» come la descriverà Stefan Zweig nel suo Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica, Luigi, al contrario, è un adolescente piuttosto goffo, decisamente zotico, dal fisico tozzo, poco avvezzo alle relazioni amorose, un ragazzo, come causticamente lo definisce madame Du Barry, la prediletta di Luigi XV, «grasso e maleducato.»
Più dell’aspetto fisico colpiscono i modi non certo raffinati del Delfino, un ragazzo che sembra «nato e cresciuto nella foresta» come, senza troppi convenevoli, lo descrive l’ambasciatore del regno di Napoli in Francia.
La prima tappa di questo viaggio che si concluderà tragicamente per entrambi gli sposi sul patibolo, ha una data ben precisa, quella del 19 aprile 1770.
Alle sei di pomeriggio, nella chiesa degli agostiniani a Vienna, la stessa dove era stata battezzata, una raggiante Maria Antonietta sposa Luigi Augusto di Borbone. In realtà il futuro re di Francia è assente, si tratta, infatti, di un matrimonio per procura.
A fare le veci dello sposo è l’arciduca Ferdinando, il fratello di Maria Antonietta, che in ginocchio, davanti al nunzio pontificio Antonio Eugenio Visconti, che officia le nozze, infila l’agognata fede al dito della sorella.
Trascorsi i festeggiamenti per il lieto evento ecco arrivare per la giovane sposa il pesante fardello delle regole che da quel momento in poi dovrà pedissequamente rispettare, perché non è più una spensierata arciduchessa austriaca, bensì la prossima regina di Francia.
È la stessa Maria Teresa a stilare buona parte del vademecum che Maria Antonietta dovrà non solo studiare ma soprattutto mettere in pratica. Fra i tanti consigli che l’augusta madre dispensa alla figlia, uno, probabilmente, riassume tutti gli altri: mai prendere iniziative senza prima aver consultato più di un collaboratore.
Il 14 maggio 1770 nella foresta di Compiègne, che sarà teatro nei secoli a venire di ben altri fatti, a poco meno di un mese dal matrimonio per procura, Maria Antonietta incontra per la prima volta suo marito. I due, come bimbetti al primo giorno di scuola, si scrutano da lontano, lasciando spazio alle inevitabili prime impressioni.
La reazione di Luigi nel vedere la sposa, almeno dal punto di vista fisico, è positiva, andando ben oltre le più rosee aspettative. La trova graziosa, con quei capelli lunghi e biondi e, seppur piccolina, gli appare amabile e gentile.
Decisamente diverso è il giudizio di Maria Antonietta sul suo consorte.
Ecco come Carolly Erickson, autrice di una fortunata biografia, descrive le prime sensazioni della futura regina: «Da parte sua, Antonietta fissò con un certo stupore l’adolescente massiccio e goffo che sarebbe stato suo marito e provò pena per lui.»
Messa da parte l’iniziale delusione la ragazza cerca, tuttavia, di andare oltre l’aspetto fisico, l’eccessiva timidezza di quel ragazzo, i modi poco raffinati, convinta che quella prima impressione possa con tempo cambiare, mutando quel primordiale giudizio.
Quarantotto ore dopo quel primo, rapido incontro, il 16 maggio 1770 arriva il giorno delle nozze, pomposamente celebrate nella cappella di Versailles, l’immensa reggia francese che lascia Maria Antonietta di stucco.
Al cospetto di quel luogo, icona marmorea della magnificenza di Luigi XIV, emblema vivente della grandeur francese, i palazzi viennesi, pur imponenti, svaniscono, schiacciati dal peso di quella sfrontata opulenza.
Le nozze, celebrate dall’arcivescovo di Reims, si concludono con il rituale bagno di folla. Gli occhi della gente comune sono tutti per Maria Antonietta, per quella sposa straniera superbamente ingioiellata ma fasciata da un abito troppo piccolo, che, come malignamente osservato dalla duchessa di Northumberland, testimone oculare, lascia «completamente visibile una larga fascia della sottoveste merlettata» un madornale errore commesso dai sarti reali, i quali avevano forgiato l’abito basandosi su delle misure prese mesi prima, dimenticando che la ragazza, di lì a poco, sarebbe sicuramente cresciuta.
Maria Antonietta, una regina mai amata
Dai festeggiamenti al lutto il passo è breve. Sono trascorsi solo quattro anni quando il 10 maggio 1774, all’età di sessantaquattro anni, muore Luigi XV. Luigi Augusto di Borbone, l’impacciato ragazzo che ama gli orologi, che divora le biografie storiche, rifuggendo gli splendori della corte parigina, diviene, per volere divino, Luigi XVI, il nuovo re di Francia e Navarra e lei, “l’autrichienne” (letteralmente l’austriaca, ma appellativo viene usato spesso in senso dispregiativo, giocando sulla parola chienne che in francese vuol dire cagna), la nuova regina.
Ora tutto cambia, il tempo dei giochi è finito per sempre, c’è un regno da governare e un popolo su cui regnare.
Quel ruolo sulle prime la entusiasma ma è un fuoco di paglia. La vita a Versailles non è che quella che lei immaginava, la corte è opprimente e quella reggia un luogo da cui vorrebbe fuggire. Maria Antonietta si sente sempre più sola, sogna di trasferire la corte da Versailles a Parigi, sperando, così, di rompere quell’insopportabile monotonia, ma sono soltanto vacui desideri.
A rendere il tutto ancora più difficile c’è il mancato arrivo degli eredi che a corte scatena ogni genere di pettegolezzo. Maria Antonietta è ritenuta l’unica responsabile di quei figli che non nascono ma per fortuna si tratta di una fase transitoria. Il 19 dicembre 1778 nasce Maria Teresa, a cui seguono nel 1781 Luigi Giuseppe, l’agognato Delfino, il terzogenito Luigi Carlo nel 1785 e, infine, nel 1786, Sofia Beatrice che, però, muore prima di compiere un anno.
Morte all’austriaca, la fine di Maria Antonietta
L’agognata nascita degli eredi se da una parte rinvigorisce il rapporto fra i due consorti, un legame che si rafforzerà con gli anni fino a consolidarsi a ridosso dell’epilogo finale, dall’altra non placa quel clima di veleni e indifferenza che circonda “l’Austriaca.”
Maria Antonietta, sempre più isolata a corte, straniera fra gente che non la ama e che puntualmente la addita, si isola sempre più, cercando di stare il più possibile lontana da quel covo di vipere che è la corte.
Élisabeth Louise Vigée Le Brun
Il Petit Trianon, un piccolo castello che Luigi XV aveva fatto costruire dentro la reggia di Versailles per compiacere i desideri di Madame de Pompadour e che Luigi XVI dona a sua moglie, diventa per la regina la torre eburnea dove ritirarsi, lontana dagli intrighi ma anche dall’incalzare della storia che a passi veloci mina le basi della plurisecolare monarchia francese.
La Rivoluzione che scoppia nel 1789, un anno già funestato dalla morte del Delfino, il 4 giugno, cambia per sempre le sorti della monarchia e della Francia. Quel fatto, di cui nessuno a corte inizialmente coglie la portata, tanto da essere derubricato a poco più di una semplice sommossa, scuote le fondamenta di un potere ancorato ai dogmi dell’assolutismo, un sistema, più di un secolo prima decapitato in Inghilterra, che umilia le classi meno abbienti, schiaccia la borghesia, favorendo in modo ignobile il clero e l’aristocrazia, improduttivi alleati del sistema politico francese.
Mentre il popolo assalta la Bastiglia e i borghesi invocano riforme, a Versailles si continua a ballare, a contemplarsi nei lustri specchi, a confondere gli echi della Rivoluzione con i vagiti di una lieve protesta.
di fronte alla folla inferocita al balcone di Versailles
L’incendio rivoluzionario divampa rapido, bruciando ogni cosa, incenerendo le già deboli fondamenta di un potere a un passo dal collasso.
A poco servono le riforme tardive e i raffazzonati cambi di ministri. Per la monarchia francese l’orologio della storia ha iniziato a battere gli ultimi, inesorabili rintocchi che passano prima dal definitivo tramonto dell’assolutismo, con l’approdo a una monarchia costituzionale, e poi attraverso la grottesca fuga che la famiglia reale mette in atto nel giungo del 1791 e che termina a Varennes, a pochi chilometri dalla frontiera, a pochi passi dall’agognata libertà.
Maria Antonietta è odiata più del suo stesso regale consorte. Su di lei si convergono gli strali di tutti i francesi. L’ex regina, rinchiusa con i figli, ma non con il marito che alloggia in un’altra ala della prigione della Torre della Conciergerie, è ormai il simbolo di tutto ciò che i francesi vogliono abbattere per sempre.
Su di lei si rincorrono storie di ogni genere, alcune vere, altre del tutto inventate, ma sono soprattutto queste ultime a piacere e a fare proseliti.
Madame Deficit, l’appellativo che già da tempo le è stato affibbiato, per rimarcate i suoi lussi sfrenati negli anni di Versailles, è il perfetto capro espiatorio di una situazione che precipita giorno dopo giorno.
Come già accaduto al marito, anche Maria Antonietta viene messa a processo. Le accuse formulate dal cancelliere Fabricius sono svariate e pesanti.
È incriminata per aver dilapidato le finanze statali, per aver tessuto intrighi, per aver intrattenuto rapporti con le potenze nemiche, per aver minacciato la sicurezza della Francia, per aver cospirato contro la Rivoluzione. Accuse in alcuni casi circostanziate, in altri meno ma che non scompongono oltre modo l’ex regina che al cospetto dei suoi giudici appare serena, quasi distaccata.
È un’accusa sola a scuotere Maria Antonietta, quella pronunciata dal deputato radicale Hébert che con il preciso scopo di distruggere, una volta per tutte, l’immagine pubblica e privata dell’ex sovrana, la incolpa di aver praticato rapporti incestuosi con il figlio Luigi Carlo.
Quell’ignominiosa insinuazione, drammaticamente amplificata dalla lettura in aula della confessione dello stesso Luigi Carlo, dichiarazione estorta al ragazzo nei giorni precedenti dietro minacce non molto velate, gela i presenti, ma non Maria Antonietta che mostrando una fierezza che in pochi le riconoscono, pronuncia parole gravide di dignità:
«Faccio appello alla coscienza e ai sentimenti di tutte le madri qui presenti affinché dichiarino se c’è una, una sola, fra di loro, che non rabbrividisca all’idea di simili orrori.»
Quel breve discorso cala come una mannaia sulle coscienze di alcuni fra i presenti, specie sulle donne, che provano pena per la madre Maria Antonietta, accusata di qualcosa di orribile, ma non certo per la donna di potere e infatti la condanna alla fine del processo è inequivocabile.
Maria Antonietta viene condannata a morte, anche lei, al pari del marito, decapitato il 21 gennaio 1793, sarà ghigliottinata.
Il 16 ottobre 1793 “l‘autrichienne” compare su un umile carretto, ben diverso dalle sfarzose carrozze di qualche anno prima, che lento si fa strada fa ali di folla che salmodiano vive la République, vive la Nation.
François Flameng (1885)
Fra quella gente che freme in attesa che la testa di Maria Antonietta sia spiccata da Henri Sanson, erede di una famiglia di boia, c’è il pittore David. Sarà lui che con pochi tratti di matita eternerà per sempre l’ultima immagine di Maria Antonietta, di colei che con le sue vistose acconciature, gli abiti sfarzosi, le calzature ricercate aveva determinato la moda del tempo.
La disegna seduta, con i polsi legati dietro la schiena, con indosso la sottoveste e sulla testa la cuffia da notte, da cui fuoriescono pochi capelli che secondo Zveig, nella già citata biografia, si erano precocemente incanutiti nel corso della detenzione presso la Conciergerie.
Sono tratti che rimandano a una donna provata ma dignitosa, la stessa che poco dopo, sul patibolo, pestando involontariamente il piede del boia, con compostezza esclama: «Pardon, Monsieur. Non l’ho fatto apposta.»
schizzo di Jacques-Louis David
Maria Antonietta fu protagonista del suo tempo, testimone interessata di un evento unico quale Rivoluzione, carnefice e vittima al tempo stesso, personalità complessa, capace, comunque, di segnare un’epoca.
Così su Maria Antonietta ha scritto Benedetta Craveri nel suo Amanti e regine, il potere delle donne:
«di fronte alla prova di una via crucis a cui nessuna sovrana francese era mai stata sottoposta, rivelava di possedere tutte le virtù che avevano connotato le regine esemplari della tradizione giudaico-cristiana, quelle virtù che due secoli prima il celebre padre Caussin aveva celebrato nel Cour sainte per incitare le donne a essere forti: la dedizione alla famiglia, la dignità, il coraggio, la costanza nelle avversità, la determinazione, l’eloquenza.»
Proprio i momenti drammatici vissuti dalla sovrana negli ultimi anni della sua vita metteranno in luce aspetti del carattere di Maria Antonietta per certi versi quasi sconosciuti, anche se a cambiare, come ha sottolineato la storica francese Simone Bertière, autrice di una monumentale biografia sulla regina austriaca, non fu tanto il carattere di Maria Antonietta, quanto la realtà con cui si confrontò nei diversi momenti della sua esistenza.
Forse il miglior modo per sintetizzare la sua vicenda è quello di citare le parole di Alexandre Dumas che nel suo La contessa di Charny fa dire a Maria Antonietta una frase che è la perfetta chiosa su di lei e soprattutto su quell’Ancien regime spazzato via dalla storia:
«Per il momento, signore, rispose la regina, il re, sono io.»
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