M l’uomo della provvidenza, il secondo capitolo della tetralogia di Antonio Scurati su Benito Mussolini è l’ennesima scommessa dello scrittore napoletano che nel 2005 si impose al grande pubblico con Il sopravvissuto, il suo secondo romanzo con cui vinse il premio Campiello. Una scommessa, anche questa volta, decisamente vinta.
Dopo l’esordio con M l’uomo del secolo, successo editoriale, vero e proprio caso letterario, Scurati torna ad occuparsi di Benito Mussolini, rendendolo l’assoluto protagonista del suo progetto editoriale: fare del capo del fascismo, dell’uomo che resse per più di vent’anni le redini dell’Italia portandola sull’orlo del precipizio, il protagonista di un lungo, complesso romanzo, in cui però, anche il più flebile anelito è figlio della verità.
“M l’uomo della provvidenza”: il consolidamento del fascismo
Questo secondo e atteso capitolo copre l’arco temporale che va dal gennaio del 1925 all’ottobre del 1932.
Mussolini ormai è il dominus incontrastato, nulla sembra disarcionarlo dal destriero del potere. Gli echi legati all’orrore per il sequestro e l’omicidio di Giacomo Matteotti sono stati ormai silenziati da un regime compiaciuto dalla sua brutale, atavica violenza, da un’opposizione politica stolidamente incapace di contrastare la piovra fascista e, infine, in questa escalation di responsabilità, da un re più timoroso di difendere la sua fragile corona che il Paese su cui regna da venticinque anni.
Nulla sembra intimorire Mussolini, tranne i suoi atavici problemi di stomaco che lo devastano, annientandolo come il più comune, anonimo dei malati.
E proprio con la narrazione del Mussolini malato, che si strugge dal dolore nell’appartamento di via Rasella, una dimora modesta, composta da un salotto, da una stanza da letto, da una cameretta per la servitù, occupata dalla fedelissima Cesira Carocci e nemmeno una cucina che si apre il racconto di Scurati.
In questo modesto appartamento, che nulla ha a che vedere con lo sfarzo misurato di Villa Torlonia o la centralità di Palazzo Venezia, Mussolini abita da tre anni, da quando, tre anni prima, ha ricevuto l’incarico di formare il governo dall’esitante Vittorio Emanuele.
L’incipit di M l’uomo della provvidenza è tutto legato al corpo di Mussolini, quello stesso corpo che la propaganda, di lì a breve, trasformerà in un simbolo per gli italiani, iconica espressione di inveterata grandezza. Un corpo, però, che il 15 febbraio 1925, a poco più di un mese dall’istaurazione del regime con il discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 3 gennaio, di glorioso a ben poco «gonfio d’ipersecrezioni acide e di gas» un corpo che «ingoia aria e cerca ossigeno reclinando il capo all’indietro sul bracciolo del divano.»
Proprio la descrizione di quegli spasmi, di quegli atroci dolori addominali, l’intima epifania di un malato cronico, rappresentano la cifra del romanziere Scurati e la bontà di questo insolito ma entusiasmante progetto editoriale. Perché nessuno prima di Antonio Scurati aveva osato plasmare al tornio della letteratura la vita di Benito Mussolini, presentandola a tutto tondo, senza esitazioni, mischiando solo la storia con il racconto.
Ne esce fuori, come già per il primo capitolo di questa monumentale tetralogia di cui già attendiamo i prossimi capitoli, un lungo, articolato romanzo in cui tutto è vero, tutto è rigorosamente accaduto, seppur raccontato con la forza seducente della letteratura.
Sono gli anni, quelli raccontati in M l’uomo della provvidenza, in cui il fascismo si consolida trasformandosi in una dittatura ad personam, divenendo una sorta di Mussolinismo, al cui altare tutto viene sacrificato, perfino lo stesso Partito, la creatura che Mussolini aveva generato, plasmato e che ora trasforma in un cane fedele, che esegue gli ordini di un padrone irriverente.
“M l’uomo della provvidenza”: gli attentati e la retorica dell’uomo invincibile
Sono gli anni della farsa del processo agli uccisori di Giacomo Matteotti, quelli degli strenui tentativi di Graziani e soci di piegare l’opposizione della resistenza libica, ma anche quelli dei diversi attentati al Duce, iniziati con quello ordito da Tito Zaniboni, «socialista interventista, massone, dannunziano, pluridecorato al valore con tre medaglie».
Quell’uomo che è all’interno di una stanza dell’Hotel Dragoni e che per l’occasione ha indossato la divisa da alpino, impugna una carabina e attende che il Duce di lì a poco si affacci sul prospicente balconcino di Palazzo Chigi per arringare la folla in occasione dell’anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale.
È il 4 novembre 1925 ma Tito Zaniboni non riuscirà a sparare, sarà fermato ben prima che Benito Mussolini si affacci a quel balcone, dal commissario Guido Bellone che fa irruzione nella stanza in penombra dell’hotel Dragoni insieme a un gruppo di agenti.
Quel fallito attentato sarà il primo di una lunga serie che creerà il mito dell’uomo invincibile, dell’uomo della Provvidenza.
Ma M l’uomo della provvidenza di Scurati non racconta solo la grande storia, come ad esempio la genesi dei Patti lateranensi, lo storico accordo fra l’Italia e il Vaticano che metteva fine a decenni di silenzio ma anche quella più minuta, quella nascosta dietro i panneggi di un sipario che fa fatica a scendere per mettere fine all’orrore della dittatura.
Ecco, allora, prender vita tra le oltre seicento pagine di questo libro edito come il precedente capitolo da Bompiani, figure come quella di Edda, l’amata figlia di Mussolini che sposerà Galeazzo Ciano o come quella di Augusto Turati, il provetto schermidore a cui Mussolini affida, dopo la defenestrazione di Farinacci, il partito, una creatura che Turati, solo omonimo del più famoso Filippo, accudirà con cura, scegliendo, come lo stesso Scurati scrive, il fioretto al posto del manganello, violenta eredità del periodo squadrista.
Non solo nomi celebri ma anche volti anonimi, come quello di Quinto Navarra, l’ombra del Capo che dal giorno successivo alla marcia su Roma è al servizio di Benito Mussolini.
Un uomo mite che
M l’uomo della provvidenza si chiude il 29 ottobre 1932, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, su via Nazionale.
Dietro la scenografia posticcia del giovane e ambizioso architetto Adalberto Libera, che copre temporaneamente quella solida e neoclassica voluta da Pio Piacentini, si celebra la Mostra della Rivoluzione fascista, nel decennale della Marcia su Roma.
Nelle sale di quella mostra, dove tutto sembra fatto apposta per esaltare la grandezza di Mussolini, il Duce «come un pesce degli abissi, mormora muto, a fior di labbra, il giuramento fascista» che colossale fa mostra di sé su un’enorme targa, fiancheggiata da due fasci in zinco, quel giuramento nel nome del quale ci si impegna a eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le forze, anche con il sangue se necessario la rivoluzione fascista.
Dieci anni dopo, in occasione del ventennale della Marcia su Roma, ben diverso sarà il clima ma questa è un altro capitolo, questa è un’altra storia, decisamente più drammatica.
Con M l’uomo della provvidenza Antonio Scurati ci conduce dentro la Storia, facendoci udire le parole non dette e i gesti non visti attraverso la forza trascinante della letteratura che lega la storia al romanzo, in ossequio a quanto scritto da Alphonse Daudet:
«Il romanzo è la storia degli uomini e la storia è il romanzo dei re»