Bi.Erre I fondatori di Gianremo Armeni è il primo romanzo storico che affronta la storia delle Brigate rosse, l’organizzazione terroristica che imperversò in Italia negli anni Settanta, raggiungendo il suo apice con il sequestro di Aldo Moro, vero e proprio spartiacque della nostra storia patria.
Perché un romanzo storico sulle Brigate Rosse?
Sulle Brigate Rosse la pubblicistica è davvero fluente, specie per tutto ciò che lega il movimento terroristico al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro.
Ma in questo mare magnum letterario mancava, tuttavia, un romanzo e ancor di più un libro che affrontasse con la suggestione romanzesca la nascita delle Brigate Rosse.
A colmare questo vuoto ci ha pensato Gianreno Armeni, con il suo romanzo storico dal titolo: Bi.Erre i fondatori, primo capitolo di una trilogia che si preannuncia molto interessante e che ha visto la luce grazie a Paesi Edizioni, una casa editrice, da sempre, focalizzata sulla saggistica, suo il bellissimo Fascisti d’America di Federico Leoni ma che non disdegna, anche, piacevoli intrusioni nel mondo letterario, come nel caso dell’avvincente Il medico che scelse di morire, il primo romanzo del dottor Luca Speciani, un medical thriller tutto da leggere.
Sociologo e scrittore, autore dell’apprezzato Questi fantasmi Il primo mistero del Caso Moro, (opera per la quale è stato addirittura audito dalla Commissione parlamentare sulla vicenda dello statista democristiano ucciso il 9 maggio 1978) Gianremo Armeni, da anni, studia i vari fenomeni criminali, collaborando fattivamente con riviste quali “Focus Storia”, “Geopolitica della Camorra” e, soprattutto, “Limes”, la rivista di geopolitica fondata da Lucio Caracciolo nel 1993 per la quale Armeni ha scritto due studi sulla criminalità organizzata.
Ma perché un attento studioso come Armeni sente il bisogno di scrivere un romanzo storico sull’origine delle Brigate Rosse?
A rispondere è lo stesso autore che, in più di un’occasione, ha ribadito come la maggiore pubblicistica sulle BR si concentri, inevitabilmente, sul Caso Moro, un evento, tuttavia, che avviene nel 1978, ben otto anni dopo la fondazione delle Brigate Rosse, un lasso di tempo, oggettivamente, piuttosto lungo, specie se valutato con i sensori della storia.
Ecco, allora, la scelta di scavare la storia della BR partendo dall’origine, dalla loro nascita e tutto attraverso il romanzo, uno strumento non consueto ma con effetti storici assolutamente interessanti.
Perché sia chiaro, fin da subito, tutto ciò che Gianremo Armeni racconta nel suo Bi.Erre i fondatori è assolutamente vero, perfettamente accaduto, frutto di una poderosa ricerca basata su fonti orali, bibliografiche e audiovisive.
Bi.Erre i fondatori, in sostanza, come Armeni ha dichiarato all’Agenzia Dire, a margine della presentazione del libro «può rappresentare uno stimolo per appassionarsi al tema ma anche per conoscere quello che c’è stato prima e non arrivare subito a quello che c’è stato dopo.»
I protagonisti di Bi.Erre i Fondatori, tra finzione e realtà
Tutto in Bi.Erre i fondatori è vero, tranne i nomi dei protagonisti di cui, però, è piuttosto semplice, grazie alla certosina descrizione di ognuno di loro, risalire al vero personaggio storico.
Da Karl, l’ideologo del gruppo, «personalità di mentalità aperta, il sostenitore accanito di qualsiasi iniziativa» a Raissa che «rifletteva esternamente una dolcezza e una fragilità che traevano in inganno» perché, in realtà, quella donna nascondeva anche tanta audacia, oltre che doti quali calcolo e freddezza, indispensabili nel momento in cui deciderà di prendere parte a un’organizzazione terroristica.
Karl e Raissa, nomi di fantasia che celano i profili di Renato Curcio e di sua moglie Mara Cagol, due dei fondatori storici delle Brigate Rosse, insieme ad Alberto Franceschini che, nel romanzo di Armeni, è Dante, il leader degli eretici, il leader di un gruppetto di ribelli della federazione giovanile del Partito comunista di Reggio Emilia che, come tanti altri suoi coetanei, aveva almeno un padre o un nonno che aveva fatto la Resistenza.
Ma in Bi.Erre i fondatori c’è spazio per tanti altri personaggi, figure che si insinuano nelle pagine del romanzo di Armeni con descrizioni possenti, con dialoghi incalzanti, con profili sempre facilmente riconducibili ai reali protagonisti della storia delle Brigate Rosse.
Ecco, allora, Nico, il compagno arrabbiato come lo racconta Armeni, un ragazzo irrequieto ma al tempo stesso ambizioso in cui non è difficile scorgere l’identikit di Mario Moretti, colui che, di fatto, raccolse l’eredità della Brigate Rosse, all’indomani degli arresti di Curcio e Franceschini nel settembre del 1974; o, anche, Padre Gabriel, al secolo Silvano Girotto, il leggendario frate mitra ma anche Vladimir, nel libro un imprenditore pieno di soldi con sogni rivoluzionari di cui, però, è semplice individuare i tratti del più noto Giangiacomo Feltrinelli, il celebre editore con un passato nella Resistenza e fondatore dei GAP, una delle prime organizzazioni armate.
Sarà proprio Vladimir a delineare a un iniziale e spaesato Karl la sua teoria della strategia della tensione, una guerra psicologica che semina bombe per destabilizzare l’opinione pubblica, logorando il popolo, facendogli credere che la responsabilità di quegli ordigni, di quel caos «sia di chi sta più a sinistra del Pci, una strategia della tensione per far accettare alla popolazione la svolta autoritaria» sulla falsa riga di quanto accaduto in Grecia con il colpo di stato ordito dai militari greci.
Non solo terroristi, ovviamente.
Nelle quasi quattrocento pagine del bel libro di Armeni facciamo la conoscenza anche dei “buoni” di coloro che dalla parte dello Stato cercarono di contrastare quel movimento criminale che, almeno inizialmente, sembrò una figura multiforme, di cui si sapeva pochissimo e che necessitò, per combatterla adeguatamente, più di uno sforzo investigativo delle forze dell’ordine capitanate da Dallas, nome di fantasia di Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale dei Carabinieri messo a capo del Nucleo Speciale Antiterrorismo, con base a Torino, nel 1974 e formato da un ristretto gruppo di ufficiali dell’Arma, direttamente scelti dallo stesso Dalla Chiesa.
Bi.Erre, i fondatori: la trama di un romanzo tutto da leggere
Come facilmente intuibile dal titolo stesso, il romanzo di Gianremo Armeni parte dalle origini, addirittura dal 1969, un anno prima dell’effettiva fondazione, quando, sulle ceneri di una Resistenza ormai definitivamente tradita anche dal Partito comunista, alcuni ragazzi, tra Reggio Emilia e Trento, sentirono l’impellente bisogno di fare la rivoluzione, partendo da zero, creando, dal nulla, un movimento che scriverà alcune delle pagine più drammatiche della storia d’Italia.
Armeni sceglie, dunque, di partire dall’inizio, dalla volontà di alcuni ragazzi di opporsi alla deriva di quella parte politica che non li rappresentava più, che consideravano corrotta, in combutta con la borghesia, rea di aver tolto dalle loro agende pagine la voce rivoluzione.
Un percorso che ha delle tappe ben precise e che Armeni ricostruisce perfettamente attraverso una prosa avvincente, in cui tutto viene opportunamente descritto, intrecciando la storia con una quotidianità fatta di armi da rintracciare, nomi di battaglia da inventare, covi da trovare, manuali da studiare rigorosamente in ossequio a un celebre dettato di Mao Tse Tung:
Una quotidianità fatta, soprattutto, di un certosino rispetto del rigido vademecum per vivere nella clandestinità, una scelta inevitabile per chi sceglie la strada della rivoluzione, un manuale dove tutto è spiegato ma che non ammette alcun tipo di deroga.
Proprio le pagine dedicate alle Norme di sicurezza per i compagni in clandestinità sono tra le più interessanti di tutto il romanzo di Armeni, proprio perché fanno luce su qualcosa di meno noto ma di fondamentale per la nascita e la formazione della Brigate Rosse.
Un vademecum in cui tutto, ma proprio tutto, è affrontato e dettagliatamente spiegato. Dalle caratteristiche delle abitazioni dei brigatisti, mai lussuose ma neppure sottoproletarie, ai rapporti con i familiari che devono essere immediatamente troncati, essendo ammesse, soltanto, storie d’amore all’interno.
Ma in quel prontuario del perfetto brigatista sono citate anche le regole da seguire relativamente ai pedinamenti, con il memento che un militante deve considerarsi costantemente seguito e, per questo, non deve cessare mai, per principio, di prendere le precauzioni necessarie per impedirlo.
La scelta del nome e del simbolo e il rapimento di un giudice
Una storia quella delle BR che Armeni racconta minuto per minuto, a partire dalla scelta del nome e del simbolo, due parti non semplici venuti alla luce in un appartamento milanese mentre gli italiani erano incollati davanti ai televisori per assistere alla leggendaria Italia-Germania Ovest, la semifinale dei mondiali di calcio del 1970.
Mentre milioni di tifosi urlavano per i quattro goal con cui gli azzurri battevano i tedeschi, tre giovani, di cui l’Italia ignorava l’esistenza, «avevano battezzato il loro progetto con un nome, Brigare Rosse, e con un simbolo, la stella a cinque punto disegnata all’interno di un cerchio.»
Non solo la nascita delle Brigate Rosse, un nome che nel sostantivo riecheggiava i fasti della Resistenza e nell’aggettivo il legame con il comunismo o, il già menzionato arresto di Curcio e Franceschini nelle campagne intorno a Pinerolo, una domenica di inizio settembre, anticipato da «tenebrosi nuvoloni borbottanti [che] si avvicinavano dal versante francese arrampicandosi l’uno sopra l’altro» con cui si conclude il libro.
In Bi.Erre i fondatori, edito da Paesi Edizioni, Armeni ripercorre altri fatti rilevanti di quegli anni di fondazione e formazione, lasciando in un angolo la verbosità di certi saggi e ricorrendo alla trascinante forza della letteratura.
Ecco, allora, le prime rapine per ottenere quei denari necessari alla vita stessa dell’organizzazione, visto che «nessuno di loro aveva intenzione di attendere una vincita al lotto» e, ovviamente i rapimenti che renderanno celebri le Brigate Rosse, tra cui, ovviamente, quello al giudice Sossi che, nella finzione letteraria, diventa il giudice De Stefano.
L’Operazione 45° pararellelo, nome in codice dell’azione brigatista, scattò il 18 aprile 1974, al termine di una complessa preparazione, fatta di pedissequi pedinamenti del giudice per studiare le sue abitudini ma anche della scelta dei veicoli da utilizzare nonché del luogo dove detenere il prigioniero.
Anche in questo caso la bravura di Gianremo Armeni nel descrive senza mai tediare l’intera vicenda è assoluta.
«L’autobus arrivò alle 20.43. A quell’ora, il transito dei veicoli era molto scarso. Raissa lo riconobbe subito, aveva con sé la borsa da cui non si liberava mai, quella descritta nelle schede. Spinse il pulsante della ricetrasmittente per dare il segnale a Dante, che a sua volta bussò tre volte contro la parete del furgone. Nerone iniziò ad affaccendarsi sul radiatore. Il giudice si incamminò senza rendersi conto di nulla.»
Tanti anni fa un professore alla fine di una lezione mi disse: «ciò che importa in una storia è come la si racconta» e Armeni, fidatevi, la racconta benissimo, mostrando al lettore il caleidoscopio di quegli anni, facendogli percepire le emozioni di persone che pensarono di fare la rivoluzione attraverso la lotta armata.
Furono anni in cui tutti ruggirono.
Poi qualcuno inseguì la follia.
Poi ci furono tanti morti,
di mattina e di sera.