Il primo fu Leone XII, nel 1823. L’ultimo, invece, il celeberrimo Pio IX, il papa della Breccia di Porta Pia. In mezzo altri due pontefici, Pio VIII e l’iperconservatore Gregorio XVI; quattro papi diversi per storia, personalità, scelte politiche e religiose ma accomunati dall’essere stati tutti eletti non in Vaticano, nella michelangiolesca Cappella Sistina ma al Quirinale, nella residenza che divenne prima dei Savoia e poi, dopo il 2 giugno 1946, dei presidenti della Repubblica italiana.
Questa è la storia dei papi eletti sul colle più alto di Roma.
Non solo la Sistina come sede del conclave
Oggi se si pensa all’elezione di un pontefice immediatamente si associa quel rito senza tempo, così misterioso e affasciante che travalica la stessa fede, a un luogo fisico ben preciso: la Cappella Sistina.
Ma quello scrigno unico di arte, costruito a partire dal 1475, non sempre, nella sua plurisecolare vita, è stato il luogo deputato del conclave, la solenne riunione che porta alla scelta del vicario di Cristo in terra. Nella storia della Chiesa sono moltissimi i papi eletti lontano dalla Sistina, anche perché la consuetudine di riunire sempre i cardinali elettori sotto gli affreschi michelangioleschi è relativamente breve.
La decisione di utilizzare la Sistina in pianta stabile come luogo destinato all’elezione del vescovo di Roma risale agli ultimi anni del XIX secolo, da quel momento in poi tutti i futuri papi saranno scelti in quel luogo di unica bellezza, mentre, in precedenza, la celebre cappella voluta da Sisto IV era una delle opzioni per svolgere il conclave ma, di certo, non l’unica.
È il febbraio del 1878 e Roma non è più la capitale dello Stato Pontificio ma quella del giovane Regno d’Italia. Al romano pontefice dopo la Breccia di Porta Pia, è rimasto un lembo della Città eterna ed è in quel fazzoletto di stato, più simbolico che reale, in cui i cardinali decidono di tenere il primo conclave in cui ad essere eletto non sarà più anche un sovrano temporale ma semplicemente il vicario di Cristo e quel papa sarà Leone XIII, il pontefice della Rerum novarum.
Sulle prime, in verità, molti nelle segrete stanze vaticane hanno pensato di trasferire quello storico conclave fuori da Roma, addirittura dall’Italia, adducendo motivi di sicurezza. Si pensa alla cattolicissima Vienna o a qualche altra meta ma alla fine prevale il buon senso, un sano realismo e si opta per il Palazzo apostolico, per la Cappella Sistina dove il primo conclave si era tenuto nel 1492, quando ad essere eletto era stato il cardinale Rodrigo Borgia, il celeberrimo Alessandro VI.
Da quel conclave in poi tutti i successivi pontefici saranno eletti in quel luogo di arte e sapienza, protetti da affreschi secolari, una scelta definitiva che designa la Sistina come spazio supremo dove scrivere la storia della Chiesa e non solo.
Ma in quello stesso secolo che vede salire sul soglio di Pietro Leone XIII, ben quattro sono i papi che vengono eletti non solo lontani dalla Sistina ma anche da quel Vaticano che da secoli non è più la sede ufficiale del Romano pontefice, da quando, almeno, Paolo V ha designato il Palazzo del Quirinale a casa privilegiata.
La scelta è dettata da ragioni di comodità, il colle Quirinale ha un clima migliore ma anche difensive e di prestigio. Insomma se il Vaticano rimane la sede spirituale privilegiata e non potrebbe essere altrimenti vista la presenza della basilica di San Pietro, il Palazzo del Quirinale, che, da Sisto V in poi, si è ingrandito e abbellito in modo considerevole, è necessariamente la residenza laica, il simbolo in pietra del papa re, custode silente del potere temporale.
E dentro quel palazzo che sorge sul colle più alto di Roma, dove Eliogabalo molti secoli prima aveva fatto erigere un senato tutto al femminile, si terranno dal 1823 in poi ben quattro conclavi e tutti nella Cappella Paolina, la grande sala fatta costruire da papa Paolo V Borghese nel 1615, le cui dimensioni sono identiche a quelle della Sistina in Vaticano.
L’elezione di Leone XII e quella di Pio VIII
Il primo dei quattro conclavi “quirinalizi” si apre il 2 settembre 1823. Sono trascorsi meno di due settimane da quel 20 agosto quando, dopo giorni di agonia seguiti a una rovinosa caduta, muore Pio VII, la cui elezione, il 14 marzo 1800, si era svolta, ironia della sorte, lontano da Roma, nel monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia. I cardinali nei giorni successivi alla morte di Pio VII, decidono che il nuovo pontefice debba essere eletto al Quirinale, un luogo più sicuro e soprattutto più fresco in quella torrida estate romana.
La posta in gioco è alta fra i moderati che vorrebbero un pontefice meno politico e i conservatori per i quali, come ha scritto Giancarlo Zizola, sarebbe auspicabile «un pontificato di restaurazione religiosa, che riaffermi vigorosamente e senza concessione “concordatarie” i diritti del potere ecclesiastico».
Pur divergenti le varie fazioni cardinalizie convergono su un punto, l’emarginazione totale del cardinal Ercole Consalvi, il potente Segretario di Stato di Pio VII, la cui politica eccessivamente diplomatica è stata ritenuta da tutti nefasta, oltre che superata.
Per i conservatori il candidato ideale a succedere a Pio VII è il cardinale Antonio Gabriele Severoli. Originario di Faenza Severoli svolge una carriera prettamente diplomatica, ricoprendo l’importante incarico di nunzio apostolico a Vienna e proprio quell’esperienza gli alienerà in seguito la simpatia degli Asburgo.
Per i moderati, invece, il nome giusto è quello del cardinale Francesco Saverio Castiglioni, marchigiano di Cingoli, risoluto oppositore di Napoleone e strenuo difensore del primato papale e dell’indipendenza di Pio VII.
I primi scrutini sembrano designare Severoli che raccoglie sempre più voti, tanto che il 21 settembre la sua elezione sembra una pura formalità. Ma su quel conclave arriva la scure austriaca. Per Vienna che tramite il suo ambasciatore a Roma formalizza il veto ufficiale, è inconcepibile che un nemico dell’impero possa divenire papa.
La bocciatura imperiale rimette in gioco un’elezione che sembrava certa. Severoli ormai è bruciato, mentre la candidatura di Castiglioni, pur autorevole non raccoglie i voti sufficienti.
Alla fine il collegio cardinalizio opta per una soluzione di compromesso e il 28 settembre 1823, con 34 voti viene eletto il cardinale Annibale Della Genga che assume il nome di Leone, il dodicesimo nella storia di papi,
una figura senza dubbio meno politica ma decisamente conservatrice anche se priva dello spessore e della personalità degli altri due candidati.
Il 10 febbraio 1829, dopo sei anni di pontificato papa Leone XII muore. La notizia non suscita molto dispiacere. Quel pontefice ha deluso parecchi romani, tanto che sulla statua di Pasquino, la più celebre delle statue parlanti di Roma, il giorno del trapasso del papa, compare un icastico epitaffio:
Qui della Genga giace
Per sua e nostra pace.
I giochi nella Cappella Paolina si riaprono ma questa volta, rispetto al precedente conclave, le posizioni sono più sfumate e la maggioranza dei cardinali concorda sulla necessità di un pontificato di transizione, una strategia spesso praticata nella storia della Chiesa per prendere tempo.
Per questo il 31 marzo eleggono Francesco Saverio Castiglioni, uno dei papabili del conclave del 1823. Il nuovo pontefice, che assume il nome di Pio VIII viene da molti descritto come un cadavere ambulante, a causa di una salute decisamente cagionevole e una pinguedine strabordante.
I pronostici sulla brevità del pontificato di Pio VIII non si contano e, alla fine, non sbagliano. Il 30 novembre papa Castiglioni muore, lasciando pochi estimatori e tanti rimpianti.
L’elezione di Gregorio XVI, l’ultra conservatore
Il 2 febbraio 1831 dalla Loggia delle Benedizioni, il grande balcone posto sulla facciata principale del Quirinale costruito nel 1638 su progetto di Gian Lorenzo Bernini, si affaccia il 254° vescovo di Roma.
Ci sono voluti ben cinquanta giorni e cento scrutini, il conclave più lungo dell’Ottocento, per eleggere il monaco camaldolese Mauro Cappellari, originario di Belluno.
Un’elezione lunga, complessa, funestata all’inizio da un clima teso e questa volta non tanto per le divisioni in seno al collegio cardinalizio, quanto per il progetto di insurrezione da parte di un gruppo di francesi che con a capo Carlo Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, punta a conquistare Roma e farla il perno di un futuro regno d’Italia, assegnandone la corona a Napoleone II, il figlio del grande imperatore francese morto anni prima a Sant’Elena.
La congiura, grazie anche ad alcune defezioni dell’ultima ora, viene scoperta l’11 dicembre, tre giorni prima che il finestrone della Loggia delle Benedizioni venga murato e le porte della Sala Paolina vengano sigillate per garantire la segretezza assoluta del nuovo conclave.
Fin dal primo giorno appare evidente come le pressioni delle potenze straniere siano meno evidenti, quasi assenti, anche se l’influenza austriaca viene ancora esercitata nella persona del vecchio cardinale Albani, la longa manus di Vienna.
A contendersi almeno inizialmente, il soglio di Pietro sono Bartolomeo Pacca, portato avanti dai moderati ed Emanuele De Gregorio, vescovo di Frascati, il favorito degli “zelanti”, come vengono chiamati i cardinali più conservatori.
Si tratta di due porporati piuttosto in là con gli anni, molto esperti, i cui nomi hanno ottenuto dei consensi anche nel precedente conclave.
Dopo i primi scrutini emerge piuttosto chiaramente come nessuna delle due candidature appaia in grado di primeggiare. La conseguenza è un pericoloso stallo, una situazione che la Chiesa non si può permettere.
Per questo il 10 gennaio alcuni cardinali, in modo trasversale, avanzano il nome del cardinal Cappellari, già prefetto di Propaganda Fide, per molti l’uomo giusto. L’idea fin da subito piace, tanto da raccogliere diversi consensi.
Con il passare dei giorni la designazione di Cappellari prende forza, convincendo anche quelli inizialmente più restii. I voti aumentano e questo preoccupa Vienna che tramite il fidato Albani mostra di non gradire la scelta del cardinale originario di Belluno, per alcuni politicamente ascrivibile addirittura all’area liberale, un’assurdità visto che Gregorio XVI sarà l’alfiere del più bigotto conservatorismo, opponendosi con forza a ogni tipo di innovazione, persino all’odiata ferrovia.
Il 2 febbraio, quando la macchina dei veti incrociati si è già messa in moto, arriva inattesa l’elezione. Cappellari prende ben 32 voti su 42, un larghissimo consenso che spiazza l’imperatore d’Austria e il vecchio cardinale Albani, al quale spetterà, ironia della sorte, l’Habemus Papam, l’annuncio al popolo romano del nuovo pontefice che, dopo la solenne incoronazione, avvenuta il 6 febbraio, sceglie, in controtendenza con i papi precedenti, di andare a vivere in Vaticano, lasciando le stanze del Quirinale completamente vuote.
Il conclave di Pio IX, l’ultimo papa al Quirinale
L’ultimo papa a essere eletto nel Palazzo del Quirinale è Pio IX, al secolo Giovanni Maria Battista Mastai Ferretti, uno dei protagonisti assoluti del nostro Risorgimento.
Il conclave che lo elegge, al contrario del suo predecessore, è brevissimo, appena due giorni e questo perché sul nome del cardinale originario di Senigallia il consenso è pressoché immediato.
Mastai Ferretti è, infatti, l’uomo dell’ala moderata e il nome viene fatto per la prima volta dal cardinale Bernetti, uomo influente e gradito alla Francia. Per gli zelanti, invece, il candidato ideale è Luigi Lambruschini, Segretario di Stato di Gregorio XVI, nome molto apprezzato da Vienna. Ma proprio il legame con il vecchio pontefice morto il 1° giugno, lacerato da un cancro al naso che, come ricorda Andrea Tornielli «gli aveva deturpato il volto, facendo credere al popolino che fosse perennemente brillo a causa dell’evidente rossore» è alla fine esiziale.
Lambruschini, fin da subito, non raccoglie i consensi necessari tra i cinquanta cardinali presenti sui sessantadue in totale. Mancano, per vari motivi, tutti gli otto porporati stranieri, per cui l’elezione del 255° vescovo di Roma sarà una questione tutta “italiana” anzi “romana” visto che nella Sala Paolina del Quirinale mancano anche i titolari di diocesi importanti quali Milano e Firenze.
Al primo scrutinio Lambruschini prende diciassette voti ma Mastai Ferretti ne raccoglie ben quindici, la conferma che la sua candidatura non sia affatto estemporanea ma, al contrario, ben studiata.
E, infatti, la mattina del 16 giugno al terzo scrutinio, i voti per Mastai Ferretti diventano ventisette contro gli undici del suo avversario. La strada è in discesa e l’elezione sempre più vicina si materializza al sesto scrutinio, quando l’ex vescovo di Imola viene eletto papa, assumendo il nome di Pio IX.
La sera è già scesa su Roma, i cardinali sono stanchi, per questo decidono di rimandare l’Habemus Papam al giorno dopo ma la notizia dell’avvenuta elezione vola veloce, di bocca in bocca, ingenerando una trepidante attesa che si stempera solo la mattina del 17 giugno quando il protodiacono Tommaso Riario Sforza, annuncia urbi et orbi il nuovo pontefice.
A molti romani che affollano la piazza dove troneggia il gruppo scultoreo dei Dioscuri, che Sisto V aveva fatto ruotare per metterlo in asse con via Pia, quel nuovo papa piace. Apprezzano il volto pulito, la giovane età, gli ampi sorrisi ai quali affidano la speranza di un futuro migliore.
Pio IX lascerà più di un segno nella storia del nostro Paese. Il suo nome, infatti, si legherà volente e nolente all’epopea risorgimentale. Quel papa marchigiano, ultimo pontefice ad alloggiare al Quirinale, passerà dall’essere il vessillo di una raffazzonata guerra di liberazione a divenire il custode ortodosso del potere temporale che, negli ultimi anni del suo lunghissimo pontificato, proverà a difendere con tutto sé stesso, fino alla definitiva capitolazione in quel mattino del venti settembre 1870.
Pochi giorni prima della Breccia di Porta Pia una celebre “pasquinata” beffardamente anticiperà la fine di un’epoca:
Santo Padre benedetto
ci sarebbe un poveretto
che vorrebbe darvi in dono
questo ombrello. È poco buono,
ma non ho nulla di meglio.
Mi direte “A che mi vale?”
Tuona il nembo, Santo Veglio;
e se cade il temporale?