La studiosa Eva Cantarella ha più volte definito il mito di Pandora come una sciagura per la condizione delle donne, l’origine della differenza di genere, una narrazione che esplicita come nel mondo greco la donna fosse poco considerata dall’imperante cultura maschilista, capitanata da un certo Aristotele che convintamente sosteneva di come la donna fosse del tutto priva del logos.
Ma chi è Pandora e cosa racconta il mito del vaso nefasto, aperto per un desiderio di umanissima curiosità? Scopriamolo insieme.
Prometeo e Zeus, una storia di inganni
Prima di approfondire la mitologica figura di Pandora, dobbiamo necessariamente fare la conoscenza con Prometeo, senza il quale la prima donna mortale non sarebbe esistita.
Pandora, infatti, fu una delle atroci vendette confezionate da Zeus per punire il genere umano, all’epoca formato solo da uomini, di cui Prometeo era stato per certi aspetti il creatore.
Il figlio di Giapeto e dell’oceanina Climene, il più intelligente e saggio tra i titani (non a caso il suo nome significa colui che riflette prima), aveva, tempo addietro, come racconta Pausania, plasmato con della comune argilla l’uomo ma, in seguito, si era macchiato di una colpa imperdonabile, aver raggirato Zeus e non solo una ma ben due volte, qualcosa di inaccettabile per il permalosissimo padre degli dei.
Il primo di questi inganni lo aveva ordito quando era stato chiamato per dirimere una accesa discussione generatasi in merito a quali parti di un bue sacrificato dovessero essere offerte agli dei.
Ecco come Esiodo, nella Teogonia, racconta come Prometeo cucì quel primo, geniale imbroglio:
Poi, messo il tutto al cospetto di Zeus, chiese a questi semplicemente di scegliere una delle due parti e il padre degli dei, vinto dall’ingordigia, «con ambedue le mani il bianco grasso raccolse.» Ma non appena toccò le ossa che da quel momento divennero la porzione degli dei, comprese di essere stato turlupinato.
Così Zeus, adirato per l’inganno subito, accompagnato, oltretutto, dall’ilarità degli astanti, decise di vendicarsi, statuendo che non avrebbe più concesso «ai legni la forza del fuoco indefesso per gli uomini mortali.»
La dura e ingiusta reazione divina lasciò di stucco Prometeo il quale, amareggiato che a pagare per colpa sua fossero gli uomini, decise di rimediare immediatamente. Con l’aiuto di Atena, alla cui nascita tempo addietro aveva assistito, entrò di nascosto nell’Olimpo e riuscì a rubare il fuoco che, come racconta Apollodoro, celò abilmente in una ferula.
Ma quando Zeus si accorse del furto andò su tutte le furie, progettando una vendetta ancora più terribile ed elaborata, perché con gli dei non si scherza, ne sa qualcosa Aracne, specie quando quel dio è nientemeno che Zeus.
La creazione di Pandora, la prima donna mortale
Qualche giorno dopo il furto del fuoco Zeus convocò il figlio Efesto, al quale sarebbe spettato il confezionamento della tremenda rivalsa. Questi era un abilissimo artigiano capace, nella sua fucina collocata nelle profondità dell’Etna, di forgiare ogni cosa.
Al divino figliolo Zeus chiese di fabbricare una donna di creta che Efesto non tardò a realizzare. Poi si rivolse al dio dei venti affinché insufflasse nella creatura lo spirito vitale; infine pretese da altre divinità dell’Olimpo che facessero dono alla ragazza di tutte le migliori virtù e questi esaudirono la richiesta divina.
Afrodite donò la bellezza; Atena, maestra d’ogni lavoro, provvide a regalarle la perfetta manualità. Apollo si premurò che la ragazza eccellesse nella musica, mentre Ermes provvide a infonderle un’indole ambigua, una mente sfrontata e un cuore pieno di menzogne.
Il risultato finale fu quello di una ragazza bellissima, dagli occhi azzurri, dalla favella pronta, suadente ma al tempo stesso spietata, un male così bello da renderla, come scrive Esiodo, «un inganno al quale non si sfugge.» A questo collage di virtù ma anche vizi, fu dato il nome di Pandora, letteralmente “tutti i doni”, perché a lei, come spiega sempre Esiodo, tutti gli dei diedero un dono che fosse «cordoglio ai mortali.»
Terminata questa complessa creazione, Pandora, scortata da Ermes, fu condotta sulla terra per darla in sposa a Epimeteo, uno dei fratelli di Prometeo. Ma quest’ultimo convinse il fratello a rifiutare l’allettante proposta nuziale e a questo punto la reazione di Zeus fu, se possibile, ancora più crudele, una punizione individuale ma anche collettiva, visto che a pagare sarebbe stato non solo Prometeo ma anche il genere umano.
Prometeo, reo di aver accorciato, donando il fuoco, la distanza fra uomini e dei, dopo essere stato catturato e incatenato dal forzuto Efesto a una roccia con «nodi di bronzo», nudo, in piedi e senza mai la possibilità di piegare un ginocchio, fu sottoposto al più atroce dei supplizi.
Per l’eternità un avido avvoltoio gli avrebbe divorato il fegato che di notte, mentre il poveretto si dilaniava per gli immani dolori, sarebbe incredibilmente ricresciuto, in modo che allo spuntare del sole quella tortura sarebbe cominciata daccapo, senza tregua, senza una fine.
Il mito di Pandora: l’apertura del vaso e l’inizio della fine
Il martirio di Prometeo, in seguito liberato dal coraggio di Eracle, convinse il fratello Epimeteo, letteralmente colui che riflette dopo, ad accettare la bella Pandora. Questa si presentò al cospetto del futuro marito con un grosso vaso che in precedenza il capzioso Zeus le aveva regalato strappando la promessa che nessuno lo avrebbe mai dovuto aprire.
Al suo interno, infatti, erano stati rinchiusi tutti i peggiori mali, ancora ignoti all’umanità. Tra questi la vecchiaia, la malattia, la follia, la fatica, il vizio, l’insopprimibile passione.
Il contenuto proibito di quel vaso stuzzicò più volte la curiosità di Pandora che alla fine, vinta dal desiderio, come racconta Esiodo, «il grande coperchio del doglio dischiuse» e subito i mali in esso contenuti si dispersero rapidamente, per la disperazione dell’umanità che, così, in un atroce, infinito attimo, conobbe il dramma del dolore, in tutte le sue peggiori declinazioni.
Pandora, resasi conto di quanto fatto, provò a serrare immediatamente il vaso ma il danno, ormai, era compiuto. Un solo male rimase imprigionato nel vaso, «il Timor del futuro» come poeticamente lo appella Esiodo, l’epis greca, la nostra comunissima speranza.
Dopo quel gesto Pandora sposò Epimeteo, dalla cui unione nacque Pirra che con il marito Deucalione sarà l’unica a scampare dal devastante diluvio che mise fine all’età dell’Oro. Pirra e Deucalione si salvarono grazie all’arca che quest’ultimo, su consiglio del padre Prometeo, aveva costruito e che si arenò miracolosamente ai piedi del Monte Parnaso, il luogo della rinascita. Pirra e Deucalione, infatti, furono i progenitori di una nuova, speranzosa umanità.
Il vaso di Pandora, un mito intriso di greco maschilismo
Alla base del mito di Pandora, uno dei più antichi di sempre, sta, senza dubbio, una primissima formulazione della differenza di genere, visto che da quel racconto il popolo greco trasse le prime informazioni sulla donna e sul rapporto fra questa e l’uomo.
Pandora, infatti, stando al mito narrato innanzitutto da Esiodo, poeta vissuto nel VII secolo a.C., fu la prima donna a essere creata ma non di materia umana, bensì di fango a cui l’abile Efesto conferì tratti di donna, una donna, tuttavia, differente dalla biblica Eva, nonostante, le due siano state spesso impropriamente associate.
Così Eva Cantarella, nel suo “Gli inganni di Pandora. L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica” analizza le differenze fra le due donne.
Pandora, dunque, è altro rispetto al genere umano, è il prodotto dell’abilità artigianale di Efesto dalle fattezze umane senza esserlo, progettata, oltretutto, per portare scompiglio, devastazione, dolore tra gli uomini, rompendo un primordiale, meraviglioso equilibrio.
Insomma, Pandora, che per Esiodo è la capostipite di un genere maledetto, è un essere negativo, da cui prendere le distanze, rappresentativa di quell’alterità femminile che per i greci, non solo era incomprensibile, come più volte sostenuto dallo studioso del mondo classico, il francese Jean-Pierre Vernant ma, addirittura, accumunabile all’idea stessa della morte, tanto da ispirare figure mortifere quali Ecate, Persefone o le stesse Sirene.
Alla fine un mito spiega molto di più di quanto si immagini.