Il 9 aprile 1921 si spegneva a Roma Ernesto Nathan, nella sua casa in via Torino, senza tema di smentita, uno dei migliori sindaci della Città eterna.
Fu il primo cittadino di Roma per sei anni, dal 1907 al 1913, non un tempo lunghissimo ma sufficiente, però, per lasciare un segno, tracciare un solco, attuando una vera e propria rivoluzione.
Questo è il sogno di Ernesto Nathan trasformato in una bellissima realtà.
Ernesto Nathan: un mazziniano prestato alla politica
Tutta la vicenda personale e politica di Ernesto Nathan è strettamente connessa a due figure centrali: la madre, Sara Levi e Giuseppe Mazzini, due fari che illumineranno sempre le scelte del futuro sindaco di Roma, per tutta la sua vita.
Mentre la figura del padre è piuttosto marginale, visto che muore quando Ernesto ha quattordici anni, quella della madre, invece, è fondamentale.
Da lei, infatti, Nathan apprende il senso dell’impegno individuale e il concetto, mutuato dalla l’idea della religione ebraica, la fede di famiglia, che soprattutto sulla terra si possa costruire il paradiso.
Non meno importante è il ruolo di Mazzini, da cui, anche attraverso l’insegnamento materno, il futuro sindaco impara il valore della politica, intesa come un’attività per la gente, senza secondi fini, una vera e propria religione laica, una missione civile che abbracci ogni ambito del viver umano, una riforma, come scriverà lo stesso Nathan, che «intuita e voluta da Mazzini investe tutta la sostanza della vita individuale, nazionale, umana.»
Ciò che il futuro sindaco di Roma apprezza, in particolare, di Giuseppe Mazzini è il proporre una nuova fede, «una religione civile che fosse norma di vita ai popoli» un punto di riferimento costante capace di «fondere il presente con l’avvenire.»
Ernesto Nathan nasce a Londra il 5 ottobre 1845 e proprio nella capitale inglese, dove soggiornano molti esuli politici italiani, conosce Giuseppe Mazzini, il cui pensiero già pervade la famiglia di Nathan, visto che la madre è una fervente mazziniana che da anni sostiene le diverse lotte promosse dal politico genovese.
Il mazzinianesimo scorre nelle vene di Nathan fin da piccolo e, quando nel 1872 Mazzini muore, il futuro sindaco diviene, inevitabilmente, uno dei suoi discepoli, uno di coloro che dovrà, non solo a parole, testimoniare e rendere vivo il pensiero del politico genovese.
L’azione promossa da Nathan e da sua madre, specie nella giovane capitale d’Italia, non si limita solo a dibattiti o all’edificazione di monumenti, ma prevede anche azioni concrete, come la fondazione della scuola elementare “Giuseppe Mazzini”. Non si tratta di una semplice intitolazione ma di molto di più.
Quella scuola, infatti, un istituto professionale femminile, nasce nel solco del pensiero mazziniano, nella ferma convinzione che la cultura, la formazione, l’istruzione siano gli strumenti per emancipare davvero le donne, la cui condizione, nell’Italia di fine secolo, non è delle migliori, specie nell’ambito dell’istruzione, visto che è ancora radicata l’idea che il loro ruolo non sia quello di studiare ma di lavorare in casa e dare figli, se possibile maschi, al marito.
La scuola, fondata nel popolare quartiere romano di Trastevere, inizia a funzionare regolarmente dall’ottobre 1873, un istituto aconfessionale e privato che nel 1880 ospiterà quasi 100 alunne.
L’impegno per la condizione femminile è uno degli architravi dell’azione politica promossa da Nathan e da sua madre che si rivolge, in particolare, alle donne più in difficoltà, come prostitute o ragazze madri.
Ernesto, suo fratello Giuseppe, altro fervido mazziniano e, soprattutto sua madre, si inspirano, nella lotta per l’emancipazione femminile, anche al pensiero dell’attivista inglese Josephine Elizabeth Butler, sostenitrice del suffragio femminile, di un’istruzione per le donne che sia pari a quella concessa agli uomini e per l’abolizione della piaga della prostituzione femminile.
Le prime esperienze politiche di Ernesto Nathan
A Roma Ernesto Nathan giunge per la prima volta nel gennaio del 1871, per seguire il giornale “La Roma del popolo” di cui diviene amministratore, mentre la direzione viene affidata a Giuseppe Petroni. Il primo numero del giornale, fortemente voluto da Mazzini, esce il 9 febbraio 1871, in corrispondenza con l’anniversario della proclamazione della Repubblica romana del 1849, una data importante, dal forte valore evocativo.
Nella Città eterna, dove, da poco, è stata ammainata la bandiera del potere temporale della Chiesa, Nathan inizia a respirare l’aria della politica che lo porta ad avvicinarsi allo schieramento di Felice Cavallotti, uno degli esponenti di spicco della cosiddetta “Sinistra storica.”
Nel 1889 Nathan, nel frattempo iniziato alla Massoneria di cui sarà anche Gran Maestro, ricopre a Pesaro, la città di nascita della madre, il suo primo incarico politico, quello di consigliere provinciale, carica che manterrà fino al 1895 e che sarà propedeutica alla successiva esperienza politica romana.
Nel 1898 Ernesto Nathan viene eletto per la prima volta al consiglio comunale, una carica prestigiosa, specie per l’epoca perché, come ha scritto lo storico Alberto Caracciolo, «il Consiglio comunale formava una cassa di risonanza in cui spesso si confrontarono leader nazionali emergenti delle diverse parti politiche.»
Non di rado, infatti, siedono in quegli anni sugli scranni dell’aula consiliare, nomi di spicco della politica nazionale, anche perché il Campidoglio diviene, spesso, il luogo ideale per dar vita a esperimenti politici, confronti, alleanze che possano tornare utili a livello nazionale, un laboratorio politico guardato con estrema attenzione da Giovanni Giolitti, vero e proprio dominus nell’Italia di inizio Novecento.
Nathan, dai banchi dell’opposizione, è uno dei consiglieri più attivi, convinto che, pur non godendo della maggioranza dei voti, possa, tuttavia, fare molto per la città di Roma.
In quegli anni il suo contributo non è affatto marginale, visto che è decisivo nel varo di due provvedimenti chiave per la vita della città: il Regolamento per l’esecuzione della legge 8 luglio 1904 e il Promemoria al Presidente del Consiglio, entrambi licenziati nel 1905.
Nel primo caso si tratta dell’attuazione di una serie di vincoli per evitare, ora che sulla città stanno per riversarsi svariate quantità di denaro pubblico per una serie di interventi, l’approfittarsi dei soliti speculatori.
Il secondo provvedimento, invece, è legato al miglioramento dei servizi pubblici, all’utilizzo delle cadute d’acqua dei fiumi Nera e Aniene, nonché, cavallo di battaglia di Nathan, l’adozione di un Piano regolatore che sia il più possibile impermeabile dalle inevitabili varianti e pericolose contaminazioni.
La rivoluzione di Ernesto Nathan, una città per la gente
La proficua esperienza da consigliere comunale, seppur dai banchi dell’opposizione, ha reso Nathan uno dei protagonisti della politica capitolina, per cui, quando nel 1907 si forma il Blocco popolare, un’alchimia politica che vede l’alleanza di tutte le forze di sinistra, dai socialisti, passando per i radicali, i repubblicani e i liberali di sinistra, il ruolo di Nathan non può che essere di primissimo piano.
Il Blocco popolare è una coalizione inedita ma che riprende un progetto già in piedi da qualche tempo, volto a riunire forze politiche diverse fra loro ma unite dalla comune matrice laica-riformista e dalla necessità, a Roma quanto mai impellente, di sconfiggere il tradizionale blocco clerico-conservatore che ha quasi sempre amministrato Roma, attraverso l’espressione di sindaci, spesso, del tutto incolori, come nel caso del principe Torlonia, a capo di una giunta decisamente di compromesso.
Così lo storico Alberto Caracciolo sull’inedita alleanza politica ed elettorale varata nel 1907 e sul ruolo, decisivo di un protagonista della politica nazionale, quale Giovanni Giolitti:
«In verità l’avvento del blocco popolare è cosa che trascende di gran lunga i limiti di una vicenda locale. Esso è possibile solo per il benevolo appoggio dato inizialmente dal governo Giolitti, che pure ben sa l’arte di mortificare le amministrazioni municipali quando non gli garbano e lo dimostrerà dopo poco tempo anche al Nathan.»
La vittoria del Blocco, in un due distinte tornate elettorali (il 30 giugno e il 10 novembre 1907) è netta e per certi aspetti inaspettata, anche per le diverse divisioni che minano la coesione, fino a quel momento inossidabile, dell’Unione romana, l’alleanza cattolica che aveva, spesso, deciso le elezioni comunali.
Il 25 novembre 1907 Ernesto Nathan viene eletto sindaco di Roma e nel presentarsi ai romani sottolinea come l’obiettivo sia la nascita di una grande metropoli, in cui scienza e coscienza, secondo un dettame tipicamente mazziniano, indirizzino le attività artistiche, industriali e commerciali di una città che ha ambizioni da grande, che vuole e deve diventare la Terza Roma.
Nathan vuole modernizzare e al tempo stesso democratizzare Roma, due direttrici imprescindibili, due binari su cui dovrà correre, prima possibile, la città nata dalla Breccia di Porta Pia. Per far questo occorrono gli uomini migliori, serve, come lui stesso afferma, «uscire dal Consiglio indirizzandoci alla cittadinanza, reclutare tutti gli uomini di buona volontà ed interessarli a prestare la loro opera.» E quegli uomini li trova e saranno competenti, volenterosi e affidabili.
Ernesto Nathan sindaco di Roma, sei anni di rivoluzioni
L’azione politica e amministrativa promossa da Ernesto Nathan e dalla sua Giunta si muove su alcune linee fondamentali, contraddistinte da un carattere fortemente progressista e democratico. Innanzitutto, l’impegno per un’istruzione davvero pubblica.
Fin dai primi mesi Nathan e i suoi assessori si impegnano, grazie anche al favorevole appoggio di Giolitti e del suo governo per la costruzione di nuove scuole nella capitale ma anche per l’efficientamento di quelle esistenti.
Per Nathan ogni bambino romano, a prescindere dal ceto, deve avere diritto a una scuola pubblica e laica, sottraendo l’educazione giovanile, specie quella dei più piccoli, dal dominio cattolico.
Nei sei anni di vita la Giunta Nathan moltiplicherà, a fronte di un esborso economico ingentissimo, il numero delle scuole elementari e dei giardini d’infanzia, costruendo, oltretutto, ben 27 scuole nell’Agro, una realtà dove, da sempre, manca ogni forma di servizio.
L’attenzione verso l’Agro non si ferma solo alla realizzazione delle scuole ma anche al contrasto alla malaria, da sempre un vero e proprio flagello in quelle zone. Su questo piano va anche inserito lo sforzo profuso per contenere il costo della vita, attraverso l’introduzione di un calmiere sui prezzi di alcuni generi alimentari, la creazione della Centrale della Latte, nonché la nascita delle stazioni sanitarie nelle borgate e della guardia ostetrica.
Rivoluzionario è, poi, il progetto relativo alla municipalizzazione dei servizi primari, quali luce, gas e trasporti che, in quello scorcio di Novecento sono, almeno a Roma, ad appannaggio di pochi e famelici privati.
Per Nathan è impensabile che determinati servizi, pubblici nella destinazione, non lo siano anche nella gestione. Tuttavia, municipalizzare tali beni rappresenta una vera e propria impresa, visto il potere più o meno monopolistico che detengono i soggetti eroganti tali servizi.
A portare avanti le municipalizzazioni dei servizi, che determina più di un mal di pancia in alcuni imprenditori capitolini, è una delle menti più geniali e fervide di tutta la giunta: Giovanni Montemartini. Docente universitario, apprezzato economista, ma anche convinto socialista riformista, Montemartini, nelle elezioni del 1907, candidato per i socialisti, ottiene ben 16.000 preferenze, risultando il più votato del suo partito.
Nathan gli affida uno degli assessorati più importanti e decisivi per quella rivoluzione che vuole intraprendere, quello ai Servizi tecnologici, e i risultati portati a casa da Montemartini sono inimmaginabili.
La nascita dell’Acea e dell’Atac
Prima dell’avvento della Giunta Nathan e dell’assessore Montemartini, i servizi di erogazione dell’energia elettrica e dei trasporti erano in mano a due soggetti privati: la Società Anglo-Romana di elettricità che gestiva anche la distribuzione del gas e la Società Romana Tramways Omnibus che, invece, amministrava in regime monopolistico l’intero ambito dei trasporti a Roma, fin dai tempi del primo omnibus a cavallo, creato nel 1845 e che collegava con un servizio di linea la basilica di San Paolo a piazza Montanara.
La crescita della popolazione romana, specie all’indomani della Breccia di Porta Pia, ha aumentato la domanda di servizi pubblici che, però, vengono erogati a prezzi decisamente troppo alti e, oltretutto con standard qualitativi non straordinari.
Per un socialista riformista quale Montemartini la democratizzazione dei servizi pubblici municipali è un’esigenza primaria.
La sua battaglia da consigliere comunale prima e da assessore, soprattutto, poi, portano a due veri e propri miracoli. La nascita, nel 1911 dell’ATM (Azienda Trasporti Municipale) diventata, poi ATAC e, nel 1912 dell’ACEA, l’azienda comunale che si occupa dell’erogazione dell’elettricità e dell’acqua.
Si tratta, invero, di due realtà diverse, perché se il successo nell’ambito della municipalizzazione del servizio trasporti fu totale e confermato anche da un referendum popolare, il primo nella storia del comune di Roma, che vide la netta maggioranza dei romani favorevoli alla municipalizzazione del trasporto pubblico, quello relativo all’erogazione della luce e dell’acqua fu parziale, anche perché le resistenze di certi poteri furono evidenti.
Ma, al netto, dei giudizi, il risultato portato a casa da Montemartini e dalla Giunta Nathan è sensazionale: i romani hanno servizi migliori e a costi contenuti.
Il Piano regolatore del 1909, l’utopia di Edmondo Sanjust
Tra le urgenze che affliggono la giovane capitale e che Nathan si trova sul tavolo all’indomani della sua elezione, c’è quella edilizia. La popolazione di Roma, specie negli ultimi anni, è notevolmente aumentata e con essa, proporzionalmente, è cresciuta la domanda di case.
Nathan è consapevole del problema ma lo vuole affrontare e soprattutto risolvere con modalità del tutto differenti rispetto a quelle adottate dalle precedenti giunte che hanno favorito una vera e propria barbarie edilizia che ha prodotto effetti devastanti sul tessuto urbano, con interi quartieri sorti dal nulla.
Questa febbre edilizia, oltre a dissanguare le già esangui casse comunali, ha determinato ferite inimmaginabili nel tessuto urbano romano, come nel caso della magnifica Villa Ludovisi, immolata sull’altare degli interessi economici di spregiudicati costruttori ma anche di asserviti politici locali.
Per capire quanto marginale in quegli anni sia l’attenzione delle varie amministrazioni comunali per la questione della difesa del territorio, basti sapere che i piani regolatori che si sono succeduti, dal 1870 in poi, sono del tutto privi di altimetria, insomma, per decenni il piano regolatore capitolino viene sempre progettato su piante, come ricorda l’urbanista Italo Insolera nel suo Roma moderna, «in cui i sette colli non apparivano diversi dalla steppa!»
Il problema edilizio è serio e impellente, per questo Nathan si rivolge all’ingegnere Edmondo Sanjust di Teulada, già capo del Genio civile di Milano, una persona non solo esperta ma, specialmente, estranea alle logiche clientelari dominanti a Roma.
Ottenuto l’incarico Sanjust si mette subito al lavoro e in poco tempo presenta il suo Piano Regolatore, un’opera, per certi aspetti, rivoluzionaria.
Sanjust concepisce tre tipologie di abitazioni da realizzare: i “fabbricati”, i “villini” e, infine, i “giardini” prevedendo, per ognuno di questi edifici, specifiche caratteristiche costruttive.
Se per i “fabbricati”, di fatto edifici popolari, l’altezza massima non può superare i 24 metri, per i “villini”, invece, il piano prevede due piani complessivi, oltre al pian terreno. Per quanto riguarda i “giardini” questi, altro non sono, che vere e proprie ville, rientrando totalmente nell’edilizia di lusso.
Le zone principali destinate ai “fabbricati” sono quelle rintracciate nelle aree di piazza d’Armi, Flaminio, piazza Verbano, piazza Bologna, fuori Porta San Giovanni e, in misura minore, Monteverde Vecchio e Porta San Paolo. L’intera superficie riservata alla costruzione dei “fabbricati” è di 811 ettari, destinati in base al Piano ad alloggiare i tre quarti dell’incremento della popolazione romana che, sulla base delle previsioni statistiche, si ritiene possa raggiungere, nel giro di venticinque anni, la considerevole cifra di un milione di abitanti.
Il restante quarto, invece, dovrebbe essere assorbito dai “villini” e dai “giardini”, insomma un piano complesso, magari non perfetto, che apre all’edilizia popolare pur nel rispetto delle esigenze abitative e del tessuto urbanistico della città.
L’attuazione, tuttavia, del Piano Regolatore è, fin da subito, difficile per le evidenti opposizioni di quelle lobby legate al mondo del “mattone”.
In particolare a essere contestata è la tipologia dei “villini” ritenuta dai costruttori una soluzione poco redditizia a causa delle loro ridotte dimensioni. Per questo avanzano la proposta di trasformare i “villini” in “palazzine”, portando l’altezza massima a 19 metri con quattro piani complessivi, più l’attico.
La resistenza di Sanjust alle trasformazioni del Piano Regolatore è netta ma con la caduta nel 1913 della Giunta Nathan le porte a quella che venne ribattezzata “operazione palazzina” si spalancano quasi immediatamente.
Nel 1920, anche per venire incontro alla cronica mancanza di case, acuita, oltretutto, dagli effetti della fine della guerra, la trasformazione del Piano Regolatore diviene inevitabile.
I tanto discussi “villini” lasciano il rapidamente il passo alle anelate “palazzine” che, nel giro di poco tempo, diventano la casa ideale della borghesia romana che sogna di vivere in una “palazzina”.
Il tramonto di una speranza, la fine del Blocco popolare
La vita del Blocco popolare, o Blocco Nathan che dir si voglia, passato l’entusiasmo inziale per la netta e inaspettata vittoria elettorale, è quasi da subito in salita.
La complessa e spuria articolazione del Blocco, che sulle prime ha rappresentato un valore aggiunto, ben presto zavorra l’alleanza, rendendola, oltretutto, molto meno stabile.
A motivazioni endogene si aggiungono fattori esterni che pesano e molto. Determinati potentati, in particolare quelli legati ai monopoli su energia e trasporti, nonché quelli legati al redditizio e speculativo settore edilizio, manifestano, a più riprese, l’ostilità verso la Giunta Nathan, auspicando il ritorno delle precedenti amministrazioni di stampo clerico-conservatore che per decenni hanno governato Roma, garantendo il più totale immobilismo.
Quando l’8 dicembre 1912 si tengono nuove elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Roma, i prodromi della crisi del Blocco emergono chiaramente, diventando, purtroppo, esiziali.
Il Blocco che si presenza agli elettori romani non è più la gioiosa e vincente macchina di cinque anni prima. I socialisti si sono sfilati, presi dal rigurgito massimalista emerso nel congresso di Reggio Emilia del 1912 che ha visto affermarsi, tra gli altri, Benito Mussolini, mentre gli altri alleati non sono più così coesi e convinti del progetto.
Se i repubblicani sono sempre più divisi, la componente giolittiana è quantomai attirata dalle sirene cattoliche, un’infatuazione che si perfezionerà all’indomani del Patto Gentiloni del 1913, quando liberali e cattolici stringeranno un patto, seppur informale e mai messo per iscritto, che condizionerà e non poco la politica italiana.
Pur azzoppato e indebolito il Blocco popolare si presenta nuovamente agli elettori nel dicembre del 1912, facendo affidamento, questa volta, più che sull’originalità del pensiero politico o l’unità delle forze progressiste e popolari, sul suo leader, quell’Ernesto Nathan il cui prestigio è ancora intatto.
Nonostante un clima non favorevolissimo il Blocco vince le elezioni, anche se i voti, in virtù pure di una scarsa affluenza elettorale, sono oggettivamente diminuiti.
Il Blocco, pur affermandosi alle urne, appare fin da subito claudicante, con una maggioranza raffazzonata alla quale, oltre che i voti, manca l’indispensabile entusiasmo della prima ora.
Ernesto Nathan, rieletto sindaco, prova a metterci del suo, puntando sui programmi, cercando di portare avanti quanto di straordinario e rivoluzionario è stato fatto nei precedenti cinque anni. Ma tutto questo non basta, il clima è cambiato e le nubi stanno oscurando il sol dell’avvenire.
L’esperienza della Giunta Nathan si conclude nell’autunno del 1913 quando il sindaco decide di dimettersi, anche perché il clima politico, a Roma, è mutato come confermato, anche, dalla vittoria dei nazionalisti alle elezioni suppletive per la Camera dei Deputati, nell’autunno del 1913.
L’11 novembre 1913, alle 21 in punto, in un’aula Giulio Cesare insolitamente affollata, Ernesto Nathan annuncia le sue dimissioni. Poi dopo essere uscito, sale in macchina per recarsi a casa, stanco, deluso ma non ancora sconfitto.
Sulla piazza del Campidoglio la folla accorsa per inneggiare al suo sindaco, blocca l’auto, costringendo Nathan a scendere dal veicolo. Nathan è stupito da tutto quell’amore sincero e spontaneo, traendo un nuovo, inaspettato entusiasmo, per questo, quasi commosso, tiene in quella piazza accarezzata da una tenera notte, il suo ultimo discorso da sindaco.
«Ce ne andiamo perché il popolo di Roma possa dichiarare ancora una volta se vuole in Campidoglio il progresso o la reazione.»
I romani, purtroppo, nelle elezioni del giugno 1914 scelgono la reazione, facendo tornare la città in quel clima di conservatorismo e immobilismo che produrrà effetti devastanti.
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